Ancora sul rischio cancerogeno per chi ha prestato servizio militare nei Balcani
Caro Direttore,
le principali critiche esplicitate con chiarezza e forza da Benedetto Terracini nei confronti dell’intervento del Dr. Peragallo (inaffidabili stime di rischio derivate da campioni di rappresentatività incerta; diagnosi di cancro raccolte attraverso non meglio specificate segnalazioni anziché ricerca attiva), e dell’editoriale di Roberta Pirastu (confrontabilità con altri studi e conclusioni che “I risultati preliminari non supportano l’ipotesi che l’aver servito nell’area dei Balcani possa costituire uno specifico rischio cancerogeno”),1 non vengono attenuate dalla risposta del Dr Peragallo, che in parte recepisce ma al contempo persevera.2
Infatti, il Dr. Peragallo circoscrive il suo primo intervento a finalità descrittiva generica della “morbosità per cancro nel contesto militare” e concorda sulla caratteristica di passività del sistema di sorveglianza in opera, con relative limitazioni di mancata rilevazione di parte della casistica, per poi concludere che comunque è l’unica fonte possibile dei dati.
Questo elemento in qualche modo sembra supportarlo nel ribadire le sue due proposizioni principali: a) che il “numero stimato dei casi incidenti non sembra essere superiore di quello dei casi attesi; b) che non pare essere azzardato sostenere che i risultati preliminari non supportano l’ipotesi di uno specifico rischio cancerogeno legato al servizio militare nei Balcani.
La discussione dunque non muta la sostanza del primo intervento.
Ritengo che, trattandosi di un sistema di registrazione passivo e limitato con finalità descrittive, non sia appropriato operare un confronto tra osservati e attesi in assenza di dati solidi sull’entità della sottonotifica (diversità di affidabilità tra fonte degli attesi e fonte degli osservati). Conseguentemente le conclusioni avrebbero dovuto essere solo descrittive e non inferenziali. Tuttavia, anche accettando la forzatura verso un giudizio statistico, anziché scegliere per le conclusioni una formulazione consona agli studi valutativi, sarebbe stato più appropriato ed anche opportuno (per le conseguenze comunicative) optare per una proposizione più cauta, del tipo “i risultati preliminari non sono in grado di apportare avanzamenti conoscitivi affidabili sull’associazione tra l’aver servito nell’area dei Balcani e insorgenza di tumori”.
Quindi, diversamente da quanto ribadito dal dr Peragallo, far conseguire da uno studio dichiaratamente noneziologico una ipotesi di causalità a me pare azzardato. Inoltre mi preme far notare che “non essere in grado di apportare…” ha senso bidirezionale nei confronti della formazione dell’evidenza, mentre “non supportare una ipotesi” ha senso unidirezionale, di freccia scagliata contro l’ipotesi che “l’aver servito nell’area dei Balcani possa costituire uno specifico rischio cancerogeno”.
Una ipotesi peraltro rovesciata rispetto alla “classica” ipotesi zero o nulla, che avrebbe voluto l’assunzione di un equi-rischio per chi ha lavorato nei Balcani e chi non ci ha lavorato, e l’inferenza statistica per decidere se accettare o rifiutare l’ipotesi nulla.
Questa non è una distinzione di lana caprina ma sostanziale, non solo per il rispetto di aspetti formali, ma per ciò che il dispositivo evoca, mentre non può e quindi non dovrebbe: l’assenza di evidenza non significa evidenza dell’assenza.
Infine, il ritardo nell’aggiornare l’incidenza attraverso una registrazione attiva dei nuovi casi (suggerito da Benedetto Terracini nel 2006),3 e nella divulgazione dei risultati dello studio Signum (attesi da oltre quattro anni), prima ancora di rappresentare un problema di uso o misuso di risorse finanziarie, costituisce un rilevante problema di etica pubblica perché nell’attesa di registri e studi eziologici a regola d’arte si continuano a “contare” casi di malattia. Dobbiamo essere tutti consapevoli, ed è giusto il richiamo al dibattito del Dr Peragallo, che approcci e dati incerti contribuiscono per lo più a lasciare inalterate le convinzioni pre-concette, poco scientifiche ma molto diffuse per tanti motivi, di chi – sulla base di conoscenza, percezione, consapevolezza e talvolta di interessi - è convinto dell’esistenza o dell’assenza del rischio.
Una tipica situazione che costituisce notevole difficoltà per comunicatori della scienza e giornalisti scientifici, e ancora di più per giornalisti d’inchiesta e per decisori, e che richiama ad un forte impegno dei ricercatori a migliorare conoscenza, percezione, consapevolezza e trasparenza sui conflitti di interessi.
Referenze
- Terracini B. A proposito di condizione militare e morbosità per cancro. EPdiMezzo 2012; 36 (1, gennaio, p.1).
- Peragallo MS. A proposito di condizione militare e morbosità per cancro: la risposta dell’autore. EPdiMezzo 2012; 36 (1, gennaio, p.1)
- Terracini B. I veterani della Guerra dei Balcani e l’uranio impoverito: ciò che gli epidemiologi italiani vorrebbero sapere. Epidemiol Prev 2006; 30 (45): 214-215.