Attualità
16/03/2020

Ambiente e salute. Una prospettiva di genere in epidemiologia

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Si è svolto a Lecce dal 14 al 16 novembre di quest’anno “Ambiente e clima. Il presente per il futuro”, convegno annuale dell’Associazione  Donne e Scienza organizzato in collaborazione con l’Università del Salento, diversi istituti del Consiglio nazionale delle ricerche e   l’Università degli studi di Bari. Il convegno, che ha visto la  partecipazione di un centinaio di persone ogni giorno, è stato  articolato in quattro sessioni con interventi di donne e uomini attivi nella ricerca e nella comunicazione, di rappresentanti istituzionali, olitici, associazioni ambientaliste e movimenti civici. La sessione “Ambiente e salute: integrare la dimensione di genere” è stata incentrata sugli impatti dei cambiamenti climatici e dell’inquinamento sulla salute. Le diverse relazioni, dalla tossicologia all’epidemiologia ambientale, dalla pratica clinica a quella della medicina di base, hanno messo in evidenza la necessità di trasformare i paradigmi dominanti in medicina ed epidemiologia allargandoli a una prospettiva di genere.

La questione della distinzione tra “genere” e “sesso” nell’ambito dell’epidemiologia occupazionale e ambientale era stata posta già nei  primi anni del Novecento da Alice Hamilton.1 Gli studi occupazionali di quel periodo avevano messo in evidenza come le lavoratrici avessero nel  sangue livelli di piombo molto maggiori dei lavoratori uomini e avevano  concluso che fossero attribuibili alla loro maggiore suscettibilità al  metallo. In realtà, Hamilton dimostrò come, a parità di mansione e di condizione socioeconomica, i livelli di piombo nel sangue fossero uguali  per entrambi i generi e che le differenze osservate tra i due erano  dovute al fatto che le donne erano impiegate prevalentemente in settori  a più bassa retribuzione e maggiore esposizione.1,2 La questione della distinzione tra sesso e genere rimane ancora un aspetto trascurato nell’epidemiologia ambientale e occupazionale, e spesso i due termini vengono usati in modo alternativo e intercambiabile. Ma che implicazioni ha questa confusione sulla qualità di una ricerca epidemiologica e sulle  politiche di salute pubblica? Perché, nonostante in vari settori della  salute pubblica siano stati individuati i pregiudizi di sesso/ genere e siano stati sviluppati metodi di indagine, raramente questi vengono tradotti in pratiche di ricerca?3-5 Nel campo dell’epidemiologia ambientale e occupazionale la distinzione tra le caratteristiche biologiche e fisiologiche che determinano il “sesso” e quelle associate a ruoli e comportamenti legati alla cultura e ai condizionamenti sociali che definiscono il “genere” permette di interpretare al meglio dove ciascuna delle due categorie entra nel paradigma della salute ambientale.
La figura 1 (riadattata da Clougherty, 2009) consente di chiarire i  percorsi attraverso i quali il genere e il sesso possono modellare l’esposizione e la suscettibilità a uno stesso agente tossico.6 Se la  dimensione di genere è rilevante nel definire l’esposizione e il percorso  concentrazione-esposizione, la dimensione biologica lo è nel percorso  esposizionedose-dose efficace-effetto che, a sua volta, può essere influenzato da differenze di genere nel riconoscimento della malattia e nell’accesso all’assistenza.

 

 

A parità di esposizione gli uomini e le donne possono rispondere diversamente a causa delle differenze nelle dimensioni e nella omposizione corporea, nell’assorbimento e nel metabolismo degli agenti tossici, e per i diversi influssi ormonali.3,7 Differenze nei ruoli socioculturali tra uomini e donne possono influire nell’esposizione, nel  riconoscimento e nella cura della malattia. Per esempio, l’utilizzo di bigiotteria o di cosmetici nelle ragazze o il tempo maggiore che i  ragazzi dedicano ai giochi all’aria aperta espongono maschi e femmine a differenti possibili contaminanti. Nella valutazione dell’esposizione, inoltre, non è possibile trascurare come uomini e donne siano impegnati nel lavoro pagato e non pagato in modo differente, come si evince dai dati pubblicati dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, OCSE, nel 2018 e mostrati in tabella 1.8
A questo si aggiunga che le donne sono scarsamente rappresentate in tutte le posizioni di vertice e maggiormente presenti in alcune aree produttive (il 63% delle lavoratrici è concentrata nel settore dei  servizi9). In virtù di questa doppia segregazione,rispettivamente verticale e orizzontale, guadagnano meno, hanno minor possibilità di incidere sulle strategie aziendali e sulla organizzazione del lavoro e si trovano a svolgere mansioni meno qualificate e in ambienti più insalubri, non raramente anche a partà di competenze e di inquadramento professionale.10 Ma un evidente bias di genere esiste nella stessa definizione di lavoro che, frutto di una nomenclatura di stampo maschilista e capitalista, considera tale solo la prestazione retribuita e non il lavoro domestico non retribuito, e non riconosce  come fattori occupazionali i rischi ai quali sono esposte le donne dentro casa (inquinamento indoor, incidenti domestici eccetera).11 Inoltre, il maggiore tempo speso nel lavoro domestico non pagato porta le donne in molte aree a essere più stanziali e probabilmente a risentire maggiormente di eventuali contaminazioni presenti nel territorio di residenza. Un altro bias di genere nelle indagini epidemiologiche è legato al fatto che i sintomi manifestati dalle donne rendono più spesso in medicina a essere sottovalutati e mal interpretati e a essere attribuiti, più che alla malattia, a fasi fisiologiche della vita come la menopausa e l’invecchiamento, ad ansia, depressione o a turbe psicosomatiche. Tale fenomeno, unito a quello definito “sindrome del bikini” o “medicina del bikini”, in virtù del quale vengono sottovalutate le patologie presenti in organi diversi da quelli della sfera riproduttivo-sessuale (mammellautero-ovaie), contribuisce al misconoscimento o alla diagnosi tardiva delle altre patologie, anche quando epidemiologicamente e prognosticamente più
rilevanti.12-15 Analogamente, la salute delle donne viene spesso associata alla salute materno-infantile anche in ambito lavorativo, dove la donna è tutelata in quanto madre o potenziale madre, più che come persona.
Negli studi di epidemiologia ambientale tutti questi aspetti possono portare a sottostimare i problemi di salute legati all’ambiente in uno o in entrambi generi con la conseguenza che quei problemi possano  essere attribuiti ad altre cause e non essere affrontati nell’ambito di  politiche di salute pubblica. La stratificazione dei dati epidemiologici  sesso/genere a valle di uno studio può essere un buon inizio, ma non  è sufficiente. Piuttosto è necessario un cambio di paradigma che tenga conto delle differenze di genere e di sesso nell’impostare il  disegno dello studio ponendo fin da subito le domande giuste.2 Ovvero: le domande di ricerca iniziali catturano adeguatamente  l’esposizione di uomini e donne? Sono state prese in considerazione le differenze fisiologiche nella scelta dei biomarcatori? Gli outcome sanitari sono appropriati per entrambi i generi? Le indicazioni di sanità pubblica incideranno analogamente su entrambi i generi? Dalle  considerazioni precedenti si evince che un’efficace promozione della salute, sia in ambito di vita sia di lavoro, non può prescindere   dall’utilizzare una prospettiva di genere. E l’implementazione di studi e ricerche con un’ottica di genere sono azioni imprescindibili per migliorare le condizioni di vita di uomini e donne.

Medicina di genere in Italia

Il 13 giugno 2019 è stato firmato il decreto con cui viene adottato il Piano per l’applicazione e la diffusione della Medicina di Genere. Il  Piano, predisposto ai sensi dell’articolo 3, comma 1 della Legge 11  gennaio 2018 n. 3, si propone di fornire un indirizzo coordinato e  sostenibile per la diffusione della Medicina di Genere mediante  divulgazione, formazione e indicazione di pratiche sanitarie che nella  ricerca, nella prevenzione, nella diagnosi e nella cura tengano conto delle differenze derivanti dal genere. Il documento è disponibile  all'indirizzo web: https://bit.ly/30Upq7o

Conflitti di interesse dichiarati: nessuno.

Bibliografia

1. Hamilton A. Exploring the Dangerous Trades. The Autobiography of Alice Hamilton, M.D. Boston, Little-Brown, 1943.
2. Mergler D. Neurotoxic exposures and effects: gender and sex matter! Hänninen Lecture 2011. Neurotoxicology 2012; 33(4):644-51.
3. Gochfeld M. Framework for gender differences in human and animal toxicology. Environ Res 2007 104 (1): 4-21.
4. Jahn I, Börnhorst C, Günther F, Brand T. Examples of sex/gender sensitivity in epidemiological research: results of an evaluation of original articles published in JECH 2006–2014. Health Syst Policy Res 2017;15(1):11.
5. Krieger N. Genders, sexes, and health: what are the connections and why does it matter? Int J Epidemiol 2003;32(4):652-657.
6. Clougherty J E. A growing role for gender analysis in air pollution epidemiology. Environ Health Perspect 2009;118(2):167-176.
7. Gochfeld M. Sex differences in human and animal toxicology:  toxicokinetics. J Toxicol Pathol 2017;45(1):172-189.
8. Time spent in paid and unpaid work, by sex - OECD Statistics. Disponibile all’indirizzo: https://stats.oecd.org/index.
aspx?queryid=54757
9. ISTAT, Conciliazione lavoro e famiglia 2018. Disponibile all’indirizzo: https://www.istat.it/it/files//2019/11/Report-Conciliazionelavoro-e-famiglia.pdf
10. Rosti L. La segregazione occupazionale in Italia. In: Simonazzi Annamaria (ed.). Questioni di genere, questioni di politica. Roma, Carocci, 2006.
11. European Agency for Safety and Health at Work. Gender issues in safety and health at work. A review. Disponibile all’indirizzo:
https://osha.europa.eu/en/publications/reports/209
12. Bairey-Merz CN. The Yentl syndrome is alive and well. Eur Heart J 2011;(32):1313-1315.
13. Valent F, Tillati S, Zanier L. Gender bias in the management and outcome of cardiovascular patients in Friuli Venezia Giulia (Northern
Italy). Epidemiol Prev 2013;37(2-3):115-23.
14. Gulati M. Improving the cardiovascular health of women in the nation: moving beyond the bikini boundaries. Circulation
2017;135(6):495-498.
15. Bocci G, Troiano G, Messina G, Nante N, Civitelli S. Factors that could influence women’s participation in colorectal cancer screening:
an Italian study. Ann Ig 2017;29(2):151-160.

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