Trend geografici e temporali della mortalità infantile in Italia e limiti negli attuali flussi informativi correnti
Introduzione
Il tasso di mortalità infantile, definito come il numero di bambini deceduti entro il primo anno di vita su mille nati vivi nello stesso anno, oltre a essere un importante indicatore della salute dei bambini e delle loro madri, è ancora oggi considerato una buona misura proxy dello stato di salute dellâintera popolazione. La ragione per cui una misura tanto specifica sia così fortemente correlata a un indicatore che di fatto include diverse dimensioni (come la disabilità e la mortalità generale) è da ricercarsi nel fatto che i determinanti della mortalità infantile sono gli stessi che fortemente determinano la salute complessiva di tutta la popolazione.1
La mortalità infantile rappresenta unâemergenza mondiale e la sua riduzione è uno degli otto obiettivi, il quarto, del programma Sviluppo delmillennio (Millennium Development Goals,MDG).2 Ogni anno muoiono nel mondo, solo nelle prime quattro settimane di vita, quattromilioni di bambini.3
La maggioranza di queste morti sono concentrate nelle aree più povere del mondo e le disuguaglianze più drammatiche si osservano tra Nord e Sud, ma differenze e disparità sono state descritte in tutti i Paesi, anche in quelli caratterizzati da società tradizionalmente più egalitarie ed evolute. Tra questi anche lâItalia non fa eccezione.4 Obiettivo di questo intervento è quello di richiamare lâattenzione di tutti coloro che si occupano di salute pubblica sulle differenze geografiche che ancora oggi esistono in Italia per questo importante esito e sulle difficoltà che attualmente si incontrano nellâutilizzo di flussi informativi correnti per monitorare tali disparità e orientare al meglio le politiche sanitarie volte al loro contenimento.
La mortalità infantile in Italia
La riduzione dei tassi di mortalità infantile è uno dei fenomeni epidemiologici più rilevanti emersi negli ultimi cinquantâanni in Italia come in tutti i Paesi economicamente più avanzati.5
I dati più recenti indicano come complessivamente, con un trend in riduzione dal 1991 al 2005 statisticamente significativo (tabella 1), il nostro Paese abbia raggiunto risultati di eccellenza.
Nel 2005, con un tasso di mortalità infantile pari a 3,7 casi ogni 1.000 nati vivi, lâItalia era al 6° posto tra i Paesi europei e complessivamente ben al di sotto della media europea pari a 4,9 casi su 1.000 nati vivi (dati Health for All Europe). Nonostante questo importante risultato è però ancora presente un evidente divario tra le regioni, con un forte svantaggio per quelle meridionali.
Le disparità tra Nord, Centro e Mezzogiorno (ovvero regioni del Sud e Isole) sono state riportate nelle tabelle 2 e 3 ed espresse rispettivamente in termini di rischi relativi e frazione attribuibile negli esposti.
È stata fatta questa scelta in quanto, come recentemente suggerito da alcuni autori, tali misure epidemiologiche sono le migliori per esprimere le disuguaglianze in salute nei Paesi economicamente più avanzati.6
Nei quinquenni 1991-1995, 1996-2000 e 2001-2005 il rischio di morire nel primo anno di vita al Centro e al Mezzogiorno rispetto al Nord (gruppo di riferimento) è andato leggermente riducendosi, ma è ancora, come testimoniano i dati più recenti, rispettivamente di 1,17 e di 1,37 volte maggiore nel Centro-Italia e nel Mezzogiorno rispetto al Nord. Queste disparità sono ancora più grandi se si considera la mortalità neonatale (tabella 2).
Nella tabella 3 è invece riportata la percentuale di morti attribuibili al fatto di essere nati nelMezzogiorno piuttosto che al Nord nei quinquenni dal 1991 al 2005: la proporzione è andata riducendosi nel tempo, ma negli anni 2001- 2005 è ancora, per la mortalità infantile e neonatale, superiore al 25%.
Gli studi sulle disuguaglianze nella mortalità infantile in Italia
Dagli anni Novanta a oggi sono stati compiuti, a livello europeo, importanti passi avanti sul tema dellâequità in campo sanitario.Molti Paesi hanno elaborato piani e proposto strategie per ridurre le disuguaglianze di salute, facendo di questo tema uno degli elementi cardine nei documenti di pianificazione dei sistemi sanitari, ed evidenziando come, negli ultimi anni, anche la classe politica sia andata sempre di più sensibilizzandosi a tale problema.
Il livello di sensibilizzazione e consapevolezza su questo tema è tuttavia variabile nei diversi Paesi europei.7 LâItalia viene elencata tra i Paesi in cui il fenomeno delle disuguaglianze è molto poco monitorato, mentre un maggior controllo è riconosciuto a Danimarca, Lituania e Polonia e un ottimo controllo a Irlanda e Inghilterra.8
Infatti, non sonomolte le ricerche condotte sui determinanti della mortalità infantile in Italia.
I due studi a copertura nazionale più recenti sono stati condotti rispettivamente da Parazzini (1992) e Lauria (2003): il primo lavoro analizza i dati del triennio 1980-1983 e il secondo quelli del quinquennio 1989-1993.9,10
Studi poco più recenti sono stati condotti in singole regioni e in particolare in Piemonte, relativamente agli anni 1980- 1995,11 in Campania con un confronto tra il 1981-1990 e il 1991-2001,12 e di nuovo in Campania e Lombardia negli anni 1995-1996.13
Questi studi confermano, tra i determinanti della mortalità infantile in Italia, quelli già conosciuti nella letteratura scientifica, ovvero il genere, il basso peso alla nascita, lâetà gestazionale, la gemellarità, lâordine di genitura e, per quando riguarda le caratteristiche della madre, lâetà, lâeducazione, lâoccupazione e la cittadinanza.
Si tratta comunque di studi che utilizzano dati relativi agli anni Novanta e che non tengono conto dei cambiamenti demografici e socio-economici avvenuti in Italia negli ultimi quindici anni.
Per questi motivi, diventa di fondamentale importanza progettare nuovi studi analitici che indaghino sia i determinanti di tipo socio-sanitario, sia quelli legati allâofferta e alla qualità dei servizi di assistenza alla gravidanza e al parto e che mettano in evidenza eventuali specificità dei diversi territori.
Il problema delle vital statistic in Italia
Le vital statistic, cioè la produzione di statistiche demografiche in formato standardizzato, rappresentano uno strumento essenziale sia per individuare i bisogni sanitari di una popolazione, sia per monitorare quegli interventi di sanità pubblica che hanno la finalità di ridurre le disuguaglianze intra- nazionali e di migliorare in generale le condizioni di un Paese.14
Come è stato riportato anche in questa rivista, attraverso i flussi informativi correnti è possibile calcolare un insieme di indicatori dello stato di salute materno-infantile di fondamentale importanza per incrementare le conoscenze disponibili e orientare al meglio le politiche sanitarie.15
Un aspetto critico del contesto italiano è che, a differenza di quanto succede in altre nazioni, dove le vital statistic vengono pubblicate in modo sistematico e periodico, queste informazioni vengono riportate solo grazie a iniziative o pubblicazioni ad hoc come il Rapporto sullâevento nascita del Ministero della salute o il Rapporto Osservasalute dellâOsservatorio nazionale sulla salute delle regioni italiane. Un ulteriore aspetto critico è che dal 1998 i Certificati di assistenza al parto (CedAP) e i Certificati di morte nel primo anno di vita sono due flussi in capo a istituzioni distinte, lâuno (il CedAP) alMinistero della Salute e lâaltro allâIstat.16,17
A seguito della legge sulla privacy, prima di essere inviate allâIstat, le informazioni nominali contenute nei CedAP vengono anonimizzate; non essendo presente nessunâaltra chiave identificativa che consenta di unire le due schede, attualmente a livello nazionale non è possibile linkare i due flussi (CedAP e Certificati di morte del primo anno di vita). Questa impossibilità è stata ben documentata anche in un recente studio in cui, utilizzando un record-linkage con chiavi identificative multiple (genere, multiparità, data e luogo del parto, data di nascita della madre), gli autori dimostrano come si riescano a ottenere informazioni individuali linkate solo mediamente nel 38,9% dei casi.18
Questo implica che, allo stato attuale, pur disponendo di queste due preziose fonti informative, non è possibile utilizzarle con la finalità di condurre studi aggiornati sui determinanti della mortalità infantile e in particolar modo sulle differenze geografiche che tuttora persistono in Italia. Se a livello delle singole regioni è ancora possibile operare linkage fra flussi informativi distinti attraverso identificativi univoci e criptati, va però sottolineato come il nuovo CedAP, istituito con il Decreto ministeriale n. 349 del 16.07.2001 (la legge 127/1997 ha abolito il certificato ISTAT di nascita), è incardinato sulla madre e se nel tracciato record regionale non è stato introdotto lâidentificativo del neonato, il linkage non può comunque essere effettuato.
Il contenimento della mortalità infantile nei piani sanitari regionali e nazionali
La tutela della salute materno-infantile costituisce un impegno di valenza strategica dei sistemi socio-sanitari per il riflesso che gli interventi di promozione della salute, di cura e riabilitazione in tale settore hanno sulla qualità del benessere psicofisico nella popolazione generale attuale e futura. In questâottica il Progetto obiettivo materno infantile (POMI), adottato con Decreto ministeriale del 24.04.2000 e relativo al Piano sanitario nazionale (PSN) 1998-2000, ha rappresentato, e rappresenta tuttora, un valido strumento di programmazione, verifica e valutazione nellâarea materno- infantile.19
Abbiamo già visto come, sebbene la mortalità infantile sia in costante diminuzione, permangano notevoli disuguaglianze fra le regioni del Nord-Centro Italia e quelle del Sud del Paese.
La Conferenza Stato-Regioni ha approvato il 25 marzo 2009 lâAccordo per la realizzazione degli obiettivi prioritari del Piano sanitario nazionale per lâanno 2009 che prevede, tra i nuovi obiettivi di piano, la tutela della maternità, sia attraverso la definizione del percorso-nascita sia attraverso politiche di diminuzione della mortalità neo e perinatale.
Al fine di dare attuazione al POMI e al PSN 2009, nonché di uniformare su tutto il territorio nazionale le prestazioni a tutela della donna e del bambino, le regioni e le province autonome possono predisporre progetti finalizzati a ridurre la mortalità neonatale e materna anche ottimizzando il sistema dellâofferta dei servizi sanitari (numero dei reparti pediatrici e dei punti nascita, servizi di guardia attiva medico- ostetrico e pediatrico-neonatologica, sistemi di trasporto neonatale in emergenza, eccetera).20
Le regioni hanno diversamente affrontato queste tematiche; nella tabella 4 sono riportati sinteticamente gli obiettivi dei Piani sanitari regionali (PSR) delle regioni che presentano un tasso di mortalità infantile più elevato della media nazionale.
Conclusioni
Nonostante la riduzione dei tassi di mortalità infantile in Italia permane un evidente divario tra le regioni del Nord e quelle del Sud.
Le disuguaglianze in tale ambito sono ancora troppo poco monitorate e tuttora continuano a persistere difficoltà nellâutilizzo dei flussi informativi correnti, flussi che possono fornire informazioni di fondamentale importanza quando si vogliano studiare i determinanti distali e prossimali nelle diverse regioni e orientare al meglio le politiche sanitarie.
Quasi tutte le regioni che nel 2005 presentavano un tasso di mortalità infantile superiore a quello medio nazionale, hanno elaborato piani e strategie che sarebbe importante verificare nella loro implementazione e nella loro rispondenza agli effettivi fattori di rischio nelle specifiche aree.
Dal momento poi che gli obiettivi individuati dai PSR riguardano prettamente lâofferta dei servizi sanitari e che sono riconosciuti il ruolo e il peso dei determinanti socio-economici anche per questo esito di salute, sarebbe importante conoscere in che misura tali fattori influiscano sulla diversa probabilità di accedere a unâadeguata assistenza sanitaria e in ultima analisi in che misura agiscano su questo esito.
Ci preme però sottolineare nuovamente che per ottenere queste informazioni è necessario avere a disposizione dati individuali a livello nazionale derivati da diversi flussi informativi che consentano di progettare studi di adeguato disegno e potenza.
Per affrontare il tema delle disparità geografiche riguardanti la mortalità infantile in Italia, stante questo scenario, ovvero lâimpossibilità di linkare i CeDAP ai certificati di morte, è fondamentale che gli epidemiologi, nonché il legislatore e le istituzioni interessate (Ministero della salute, ISTAT) si pongano il problema e ne cerchino una risoluzione.
Conflitti di interesse dichiarati: nessuno
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