Articoli scientifici
08/06/2010

Il passaggio da ICD-9 a ICD-10 per le statistiche di mortalità

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Introduzione

I dati di mortalità per causa sono una fonte informativa metodologicamente consolidata di fondamentale importanza in epidemiologia e sanità pubblica. Confronti temporali e spaziali sulla mortalità per causa consentono di descrivere lo stato di salute di una popolazione, di individuare priorità di intervento per la programmazione sanitaria e di ottenere stime sull’efficacia degli interventi sanitari di tipo preventivo, diagnostico e terapeutico. I dati di mortalità si possono suddividere in due macrocategorie:

  • dati sanitari (cause di decesso)
  • dati demografici (numero decessi, età e sesso dei deceduti ecc.)

I dati sanitari sono ricavati dalla scheda di morte, che riporta tutti gli elementi nosologici che, a giudizio del medico compilatore, vengono collegati al decesso. L’utilizzo ai fini delle statistiche di mortalità dei suddetti elementi nosologici richiede l’esecuzione di due procedure preliminari:

  • la trasformazione di ciascuna patologia riportata sulla scheda in termini letterari (es. carcinoma della mammella, infarto del miocardio, ecc.) in sequenze numeriche e/o alfanumeriche denominate «codici nosologici» (es. 436 ovvero I64 per ictus cerebri; 250.0 ovvero E14.9 per diabete mellito ecc.);
  • l’individuazione per ogni scheda di un’unica causa di morte, denominata convenzionalmente «causa iniziale», ottenuta dall’applicazione di regole di codifica standardizzate a livello internazionale.

Le cause di morte sono definite e individuate attraverso l’utilizzo della Classificazione internazionale delle malattie (ICD), istituita nel 1893 e successivamente aggiornata a cadenza circa decennale.1 Cambiamenti nella classificazione possono comportare discontinuità nei dati di mortalità, perché lo stesso certificato di morte processato secondo sistemi di classificazione differenti può dar luogo a risultati diversi. Qualora si introduca una nuova versione del sistema di classificazione è pertanto necessaria una particolare cautela nell’interpretazione degli andamenti temporali2-5 della mortalità per causa e sono di estrema utilità gli studi di «Bridge Coding» che confrontano l’impatto determinato da tali cambiamenti.5-8 Attualmente lo standard di riferimento internazionale per le statistiche di mortalità è costituito dalla decima revisione della Classificazione internazionale delle malattie (ICD-10),1 adottata anche dall’Istat a partire dai dati dell’anno 2003. Rispetto alla precedente versione (ICD-9), ICD-10 presenta numerose novità:

  • la struttura formale dei codici delle condizioni morbose (da numerici ad alfanumerici, con un numero di codici che passa da 10.000 a 26.000);
  • l’aumento dei settori nosologici (da 17 a 20);
  • lo spostamento di alcune condizioni morbose da un settore nosologico a un altro;
  • l’introduzione di condizioni morbose precedentemente non note;
  • un maggior dettaglio nella classificazione di numerose condizioni morbose;
  • un aggiornamento annuale che comporta: possibile introduzione di nuovi codici, modifica delle definizioni delle patologie, variazione delle regole di associazione tra le patologie per la selezione della causa iniziale di morte. Per la codifica in ICD-10 deve essere usata la versione dell’ICD stessa dell’anno corrispondente al decesso.

Le differenze per cui è previsto l’impatto maggiore riguardano le regole di selezione della causa iniziale di morte, ovvero le istruzioni per identificare un’unica causa di morte in certificati in cui sono riportate più di una condizione morbosa. In linea generale, si può affermare che con ICD-10 l’algoritmo che porta all’individuazione della causa iniziale di morte privilegia patologie di tipo cronico rispetto a condizioni morbose acute/terminali, accentuando l’impostazione di sanità pubblica del dato di mortalità per causa. Le modifiche più importanti riguardano la regola 3 (conseguenza diretta) e la regola A (stati morbosi mal definiti). In questo lavoro si vuole valutare l’impatto dell’introduzione di ICD-10 sulle statistiche di mortalità per causa.

 

Tabella 1. Elenco dettagliato delle principali differenze fra ICD-9 e ICD-10 suddivise per settore nosologico.
Table 1. List of most important differences between ICD-9 and ICD-10, analyzed for each ICD chapter

Tabella 2. Numero di schede codificate in doppio per centro partecipante.
Table 2. Number of death’s certificate codified in ICD-9 and ICD-10 in every working-centre.

 

Tabella 3. Esemplificazioni di certificazioni di decesso.
Table 3. Examples of death’s certificates.

Materiali e metodi

In Italia la rilevazione delle cause di morte è regolata dal DPR 285/909 che prevede un modello di certificato in duplice copia, una per l’Istat e l’altra destinata all’Azienda Sanitaria allo scopo di favorirne l’uso epidemiologico locale. Da allora molte aziende sanitarie hanno organizzato il Registro delle cause di morte, e diverse ne utilizzano i dati. Lo studio che viene presentato è uno studio di «Bridge Coding» svolto da un gruppo di lavoro, composto da operatori delle regioni Emilia-Romagna, Veneto, Toscana, Liguria e delle ASL di Biella, Milano e Bergamo. Al fine di standardizzare le regole di codifica introdotte con l’ultima revisione ICD-10, questo gruppo di lavoro ha iniziato nel 2006 un progetto di apprendimento sul campo che ha prodotto diverso materiale tra cui un manuale di codifica basato sulla Classificazione statistica internazionale delle malattie e dei problemi sanitari correlati (10a revisione), nonché 4 edizioni di un corso per codificatori. Questo studio si fonda su certificazioni codificate in doppio (ICD-9 e ICD-10) in alcuni centri afferenti al gruppo, il cui dettaglio è mostrato nella tabella 2. Obiettivo di questo rapporto è fornire parametri quantitativi che misurino le differenze introdotte dal cambio di classificazione e che consentano pertanto di ricostruire le statistiche di mortalità nel tempo. Gli indicatori che verranno presentati sono i seguenti:

  • numero di decessi attribuiti alla causa X con ICD-10,
  • numero di decessi attribuiti alla stessa causa X con ICD-9,
  • numero di decessi attribuiti alla causa X con entrambe le classificazioni,
  • coefficiente di raccordo o rapporto di comparabilità (CR)

Per il calcolo dell’intervallo di confidenza dei CR di tabella 4, è stato utilizzato il comando svyratio di STATA 8. Il coefficiente di raccordo è dato dal rapporto tra il numero di decessi attribuiti a una certa causa X con ICD-10 e il numero di decessi attribuiti alla stessa causa X con ICD-9. È una misura relativa dell’impatto determinato dall’introduzione di ICD10 sulla mortalità per quella causa e può essere applicato ai dati degli anni precedenti come fattore di aggiustamento per ricostruire andamenti temporali della mortalità per causa. Il coefficiente di raccordo è un indice sintetico che non tiene conto della possibile migrazione dei decessi da una causa all’altra. Un coefficiente di raccordo pari a 1 indica che il numero di decessi attribuiti a una stessa causa con ICD-10 e con ICD-9 si equivale; tuttavia potrebbe non trattarsi degli stessi decessi ma essersi verificati spostamenti tra varie cause di entità tale da annullarsi. Per esplorare questo fenomeno è riportato anche il numero di decessi attribuito a una determinata causa per entrambe le classificazioni.

Principali differenze fra ICD-9 e ICD-10 nel processo di codifica dei dati di mortalità

Come già accennato, le istruzioni per il processo di codifica contenute nella Classificazione internazionale delle malattie ne costituiscono parte integrante e sono stabilite e supervisionate dall’Organizzazione mondiale della sanità. In questo paragrafo sono presentate alcune tra le principali novità nella codifica in ICD-10, per illustrare le situazioni che danno luogo alle maggiori discontinuità sulle condizioni morbose individuate.

La regola 3 (conseguenza diretta)

La regola 3 è definita nel seguente modo: «Quando l’affezione selezionata mediante l’applicazione del principio generale o delle regole 1 o 2 può essere considerata un’ovvia conseguenza diretta di un’altra affezione morbosa indicata ai quesiti 1, 2, 3 o 4, selezionare quest’ultima affezione come causa iniziale». Questo enunciato è rimasto sostanzialmente invariato nel passaggio da ICD-9 a ICD-10, ma sono cambiate notevolmente le situazioni in cui si applica. Con ICD10 «Le polmoniti […] possono essere considerate una ovvia conseguenza di malattie consuntive (come neoplasie maligne e malnutrizione) e di malattie che causano paralisi come pure di gravi malattie respiratorie, di malattie infettive e di traumatismi importanti»; inoltre «altre comuni malattie secondarie (come embolia polmonare, ulcere da decubito e cistite) possono essere considerate un’ovvia conseguenza di malattie consuntive, di malattie che causano paralisi come pure di malattie infettive e di traumatismi importanti». Queste indicazioni rendono la regola 3 applicabile molto più frequentemente rispetto a quanto avveniva con ICD-9 e sono il motivo principale per cui ICD-10 comporta un netto calo dei decessi attribuiti a polmonite a vantaggio principalmente di condizioni come le malattie cerebrovascolari e le demenze. L’esempio tipico è costituito da una scheda compilata come nell’esempio 1 in tabella 3. La codifica della scheda illustrata prevedeva in ICD-9 la selezione della polmonite tramite l’applicazione del principio generale, in quanto indicata isolatamente al 1° quesito compilato e causa delle altre condizioni morbose indicate ai quesiti successivi, a eccezione del quesito 4. Con ICD-10 si applica il principio generale e si seleziona inizialmente la polmonite che però viene considerata una conseguenza diretta della condizione morbosa riportata al quesito 4 e la causa di morte diviene esiti di ictus cerebrale. Un ragionamento del tutto analogo riguarda situazioni in cui al quesito 1 siano riportate condizioni come embolia polmonare, ulcera da decubito, infezione urinaria e al quesito 4 vi siano demenza, tumori, malnutrizione o similari.

La regola A (senilità e altre condizioni morbose mal definite)

La regola A in ICD-10 riassume le regole 4 (senilità) e 5 (condizioni morbose mal definite) di ICD-9: il decesso viene attribuito a una condizione morbosa mal definita (come senilità, shock, dispnea…) solo se non ci sono condizioni morbose non mal definite riportate nel certificato. La novità introdotta da ICD-10 è che sono considerate mal definite condizioni come l’arresto cardiaco, l’ipotensione e i disturbi circolatori non specificati. Gli effetti prodotti da questa modifica sono prevedibili solo in parte: infatti è sicuramente atteso un drastico calo dei decessi attribuiti ad arresto cardiaco, che verranno sostituiti da qualsiasi altra condizione morbosa non mal definita, ma non solo (vedi esempio 2), che verrà individuata in sua vece. Una delle situazioni più frequenti infatti è quella illustrata nell’esempio 2 di tabella 3. Con ICD-9 dopo la selezione di «senectus» con la regola generale, si applicava la regola 4: «senectus» veniva scartata e il decesso era attribuito ad arresto cardiaco. Con ICD-10 «senectus» e arresto cardiaco sono entrambe condizioni morbose mal definite, per cui si applica solo il principio generale e si attribuisce il decesso a «senectus».

I concatenamenti accettabili

Il concetto di concatenamento riguarda la relazione causale tra condizioni morbose riportate nei quesiti 1, 2 e 3 (rispettivamente causa iniziale, intermedia e terminale) della scheda Istat e costituisce l’elemento fondamentale per riconoscere l’accettabilità o meno di una sequenza di condizioni morbose. Rispetto a ICD-9, ICD-10 per esempio esplicita il comportamento da tenersi rispetto alla malattia da HIV (non nota al tempo di ICD-9), che può essere causa di qualsiasi neoplasia. Inoltre, in ICD-10, le malattie infettive a eccezione della malattia da HIV e delle malattie da parassiti, possono essere causate da tumori maligni. Altra differenza è data dall’accettazione del concatenamento tra ictus e infarto acuto del miocardio che per ICD-9 non era accettabile, mentre lo è per ICD-10 (esempio 3 di tabella 3). In una scheda come quella simulata nell’esempio 3, con ICD-9 il decesso era attribuito a infarto acuto del miocardio mentre con ICD-10 il decesso viene attribuito all’ictus. Un’altra differenza di frequente riscontro riguarda le cause accettabili in concatenamento con la cardiomiopatia dilatativa (esempio 4). Questa condizione morbosa in ICD-9 non poteva essere causata da nessun’altra patologia e nel caso dell’esempio veniva accettata come causa iniziale. In ICD10 la cardiomiopatia dilatativa invece può essere causata da altre condizioni morbose classificate in altri settori, come il diabete mellito che in questo caso viene selezionato.

La classificazione

Oltre alle differenze legate alle procedure di codifica in senso stretto, vi sono diversità anche nella classificazione di numerose condizioni morbose. La maggior parte di queste differenze ha un impatto minimo o assente sulle statistiche di mortalità, in quanto riguarda il dettaglio del codice finale, che non viene utilizzato nelle statistiche di mortalità. Per esempio l’infarto acuto del miocardio in ICD-9 aveva un solo codice mentre in ICD-10 sono previste delle sottocategorie che specificano tipo e sede dell’infarto. Alcune differenze di classificazione comportano invece differenze sostanziali nelle statistiche di mortalità. Esse riguardano:

  • Introduzione di nuove condizioni morbose
    Il caso più eclatante riguarda la malattia da virus dell’immunodeficienza umana, presente con 5 categorie e 17 sottocategorie in ICD-10. Altri esempi sono l’epatite virale C, il mesotelioma, i tumori maligni di sedi indipendenti primitive multiple e i tumori di comportamento incerto e non specificato. Quest’ultimo aspetto ha un rilievo particolare in quanto consente di ricostruire con sufficiente dettaglio la sede di queste neoplasie (in ICD-9 raggruppate in un’unica categoria).
  • Spostamento di condizioni morbose all’interno della classificazione
    L’esempio numericamente più frequente concerne l’attacco ischemico transitorio, classificato tra le malattie del sistema circolatorio in ICD-9 e tra le malattie del sistema nervoso in ICD-10. Inoltre le condizioni morbose definite «alcuni disturbi del sistema immunitario» sono passate dal settore delle malattie metaboliche a quello delle malattie ematologiche. Altre condizioni morbose che hanno cambiato settore di classificazione sono la sarcoidosi, la malattia di Reiter e alcune malattie ematologiche inserite fra i tumori in ICD-10.
  • Revisione della classificazione di alcune condizioni morbose
    Profondamente rivista è la classificazione delle demenze. Con ICD-10 le varie forme di demenza trovano una più chiara esplicitazione. Le voci «demenza senile» e «demenza» sono classificate allo stesso modo, come pure le voci «demenza di Alzheimer» e «morbo di Alzheimer». Questa razionalizzazione nella terminologia e nella codifica è la causa principale dell’aumento dei decessi attribuiti a morbo di Alzheimer con ICD-10.

 

Tabella 4. Confronto tra ICD-10 e ICD-9 per settore nosologico e principali cause di morte.
Table 4. Comparison between ICD-9 and ICD-10, analysed for each ICD chapter and for most important causes of death.

L’impatto dell’introduzione di ICD-10 sui dati di mortalità per causa

I dati riportati riguardano 74.525 schede di morte. Tra le schede analizzate, 71.739 (96,2%) sono classificate nello stesso settore nosologico sia con ICD-9 sia con ICD-10. Nella tabella 4 sono riportati i parametri di raffronto tra ICD-9 e ICD-10 per settore nosologico e per cause specifiche. Con ICD-10 si osserva complessivamente un lieve calo (circa 1%) dei decessi attribuiti a malattie del sistema circolatorio. All’interno di questo settore si rileva un incremento del 3% dei decessi attribuiti a malattie cerebrovascolari, incremento non irrilevante considerando la numerosità dei decessi attribuiti a questa causa. Più consistente in termini assoluti e relativi (-11%) è il calo dei decessi classificati tra le altre malattie cardiache, dizione che comprende patologie anche molto diverse tra loro sotto il profilo clinico-epidemiologico (cardiomiopatie, valvulopatie, aritmie, scompenso…). Vi è anche un calo relativo importante (-9%) dei decessi attribuiti ad altre malattie del sistema circolatorio (arteriopatie, malattie venose…), anche se riguarda un numero più limitato di casi. Per quanto riguarda i tumori, ICD-10 non introduce scostamenti macroscopici sul numero di decessi attribuiti a questo settore e alle principali sedi di neoplasia. Si osserva un lieve aumento (1%) dei deceduti nel settore in generale, viceversa una lieve riduzione dei decessi attribuiti alle principali sedi di neoplasia e un aumento dei decessi per altri tumori maligni, aggregazione di codici in cui rientra il codice C97 (tumori maligni di sedi indipendenti primitive multiple), di nuova introduzione. Le malattie del sistema respiratorio costituiscono uno dei settori nosologici più influenzati dal cambiamento di classificazione. Infatti i decessi attribuiti a questo settore con ICD10 sono decisamente inferiori a quelli attribuiti con ICD-9 (-8%). Questo è dovuto al netto calo dei decessi classificati come polmonite, che con ICD-10 sono quasi dimezzati. Vi è invece un modesto incremento (+4%) dei decessi attribuiti alle malattie croniche delle basse vie respiratorie (enfisema, asma, BPCO). Le malattie dell’apparato digerente risentono in modo estremamente limitato dell’introduzione di ICD-10. Tra i disturbi psichici e comportamentali, la principale componente per quanto riguarda la mortalità è rappresentata dalle demenze. Con l’introduzione di ICD-10 si può osservare un discreto incremento nel numero di decessi classificati come demenze (+4%), dovuto a un notevole spostamento nella classificazione di questo tipo di decessi con un effetto netto finale a vantaggio della casistica in ICD-10.

 

Tabella 5. Frequenza degli scostamenti delle cause iniziali, osservati nelle schede in studio per tipologia di causa.
Table 5. Frequency of underlying cause of death changing, observed in certificates analysed for each cause of death.

 

Tabella 6. Ridistribuzioni in base ai settori nosologici delle cause di decesso nelle schede esaminate.
Table 6. Distribution of death’s causes in analysed certificate.

Anche le malattie del sistema nervoso risentono in modo considerevole dell’introduzione di ICD-10. Il numero di decessi attribuiti a questo settore infatti aumenta del 15%. Questo incremento è giustificato principalmente dall’aumento dei decessi classificati come morbo di Alzheimer (+41%). Per gli altri settori nosologici ICD-10 comporta scostamenti relativi di una certa entità per le malattie infettive (+21%), per le malattie ematologiche (-16%), per le malattie del sistema osteomuscolare e del connettivo (+10%) e per gli stati morbosi mal definiti (+12%). Tuttavia queste cause riguardano un numero relativamente basso di decessi, con un impatto complessivo di scarso rilievo. Per settori numericamente più importanti, come le malattie metaboliche e le cause esterne di morbosità e mortalità, l’introduzione di ICD-10 non comporta variazioni consistenti. Per l’uso in epidemiologia, i dati presentati non sono però sufficienti, in quanto non rappresentano completamente gli scostamenti che si verificano nel passaggio fra le due classificazioni: in realtà un coefficiente di raccordo di 1, quindi un numero esattamente sovrapponibile di decessi, potrebbe essere determinato da due casistiche completamente differenti. Altrettanto importante è valutare in quale direzione si verificano i principali scostamenti. Abbiamo esaminato alcuni casi emblematici la cui distribuzione numerica è esplicitata nella tabella 5.
Broncopolmonite/polmonite: quasi tutti i casi così classificati in ICD-10 lo erano anche in ICD-9, mentre una consistente parte della casistica ICD-9 (40%) viene classificata diversamente in ICD-10 come demenze (10%), malattie cerebrovascolari (8,7%), BPCO, tumori.
Demenze:
il coefficiente di raccordo è molto vicino all’unità (1,04), però la diagnosi coincide solo nell’80% dei casi circa: in ICD-10 viene attribuito il codice di demenza a casi soprattutto di broncopolmonite e malattie cerebrovascolari per la precedente classificazione, mentre casi di demenza in ICD9 finiscono in ICD-10 nella categoria del morbo di Alzheimer. In generale, a parte la broncopolmonite, si assiste a uno spostamento della casistica fra malattie neurologiche e cardiocircolatorie.
Tumori:
il lieve aumento del numero di decessi per tumore in ICD-10 è legato alla riduzione dei casi di broncopolmonite, per l’effetto della Regola 3, e all’aggiungersi, per la diversa struttura della classificazione, di malattie prima inserite fra quelle ematologiche.
Malattie cerebrovascolari:
in questo caso si evidenzia la ridistribuzione della casistica con altre malattie di cuore, broncopolmoniti e demenze.
Tumori maligni sede multipla (C97):
questa nuova categoria introdotta con ICD-10, deve essere usata quando nella scheda sono menzionati più tumori indicati come primitivi o da presumere tali. In ICD-9 invece, per codificare tali schede, si utilizzavano specifiche regole per individuare la priorità di una sede tumorale sull’altra. I tumori che risentono maggiormente dell’introduzione di questo codice sono colon, retto e polmone, ma si tratta di numeri contenuti.

La tabella 6 riassume la ridistribuzione fra settori nosologici dei dati codificati in ICD-9 e in ICD-10: si nota per esempio come le malattie infettive (sett. I), aumentino in ICD-10 “pescando” da molti altri settori, particolarmente dal cardiovascolare, respiratorio e digerente, mentre la riduzione delle malattie dell’apparato respiratorio (sett. VIII in ICD-9 e X in ICD10) deriva dalla compensazione fra poche acquisizioni dai settori «cardiovascolare» e «stati morbosi maldefiniti» e molte più cessioni verso tumori e malattie del sistema nervoso. Gli altri scostamenti sono in genere più modesti. Come ultima analisi occorre, ora, confrontare lo studio (definito in tabella 7 come «Italia Registri Locali») con altri analoghi compiuti in Italia e all’estero in quanto l’impatto del-l’introduzione dell’ICD-10 è stato differente nei diversi stati, probabilmente a causa del diverso uso della terminologia medica, dei vari modelli di certificato delle cause di morte e anche di approcci non omogenei alle due classificazioni. Nella successiva tabella si nota come il range di scostamenti sia più ampio per alcuni raggruppamenti (malattie infettive, da -2% a + 38%, stati morbosi mal definiti, da -7% a + 47%, malattie del sangue da -51% a -9%, ecc.) e minore per altri (traumi da -6% a +4%, tumori da 0 a +3%, cardiovascolare da -3% a +4%). Segnaliamo inoltre che il nostro dato seppur molto simile presenta alcune differenze con quello del-l’analogo studio condotto dall’Istat sui dati di mortalità 2003, in particolare sono diversi gli scostamenti per quanto riguarda i disturbi psichici (-2% e -19%), gli stati morbosi maldefiniti (+12% e +47%) e i traumatismi (+2% e -6%), unico raggruppamento di patologie per il quale lo scostamento ha segno diverso.

 

Tabella 7. Confronto di coefficienti di raccordo (CR) ottenuti da studi di «Bridge Coding» italiani e esteri.
Table 7. Comparison, between Comparability-Ratios calculated in different European studies.

Conclusioni

La Classificazione internazionale delle malattie nacque alla metà del 1800 sulla base di constatazioni come questa di William Farr, secondo il quale occorreva un linguaggio comune che permettesse di confrontarsi: «Advantages of a uniform statistical nomenclature, however imperfect, are so obvious, that it is surprising no attention has been paid to its enforcement in Bills of Mortality. Each disease has, in many instances, been denoted by three or four terms, and each term has been applied to as many different diseases: vague, inconvenient names have been employed, or complications have been registered instead of primary diseases. The nomenclature is of as much importance in this department of inquiry as weights and measures in the physical sciences, and should be settled without delay».15 Tale linguaggio è mutato nel tempo seguendo l’evoluzione della clinica: nel Novecento furono introdotte con cadenza decennale delle revisioni. L’ultima, la 9a,, risale al 1975.1 Questo studio valuta l’impatto dell’introduzione in Italia della 10a revisione della Classificazione. Tale impatto non si limita alla sola introduzione di nuovi termini o alla riclassificazione di patologie in settori diversi, ma anche alla variazione delle regole di codifica. Per quanto riguarda i dati presentati, abbiamo osservato ridotte variazioni generali, con scarso impatto per le statistiche nazionali di mortalità delle principali patologie (malattie cardiovascolari e tumori) e una maggiore variabilità per alcune patologie minori, come malattie infettive,., respiratorie e demenze. Tali variazioni sono risultate simili, ma non totalmente coincidenti, a quelle segnalate in analoghi studi internazionali e nazionali. In caso di analisi di serie storiche o confronti, occorre quindi tenere in considerazione il passaggio di classificazione e utilizzare i corrispettivi CR, applicandoli in modo differente per sesso, età, ma anche territorio, come testimoniato, tra gli altri, dallo studio sull’epatocarcinoma in Europa.16,17 Quando invece si usano i dati per studi epidemiologici va posta cautela poiché la variazione delle regole di selezione della causa iniziale causano, seppure con frequenza ridotta, spostamenti che non è possibile prevedere a priori o correggere applicando una procedura di trans-codifica. Soprattutto in studi che analizzano malattie respiratorie acute,18 demenza, o alcuni tipi di tumore,19 sembra inevitabile procedere a una ricodifica della casistica a partire dal certificato di morte originale, in una sola versione della ICD.1 L’utilizzo di procedure di codifica multipla possono in parte ovviare a questo problema ed è auspicabile che in futuro i dati di mortalità siano prodotti anche con le informazioni relative alle patologie menzionate sul certificato e non solo con quelle relative alla causa iniziale. Infine va segnalato che la qualità e l’accuratezza della certificazione ha un impatto potenzialmente maggiore di quello della codifica, anche se più casuale e quindi meno controllabile mediante studi di confronto come questo, per cui anche essa dovrebbe essere attentamente valutata in fase di analisi del dato di mortalità.

* Gruppo interregionale per lo studio della mortalità e della codifica in ICD-10:

Coordinatore: Carlo Alberto Goldoni
Componenti: Mariangela Autelitano, ASL Milano; Stefano Brocco, Servizio Epidemiologico Regione Veneto; Piercarlo Vercellino, ASL Biella; Daniele Agostini Bologna; Mariateresa Cassinadri, AUSL Reggio Emilia; Laura Gardenghi, AUSL Modena; Elsa Garrone, IST Genova; Maria Giulia Gatti, AUSL Modena; Lucia Giovannetti, CSPO Firenze; Giuseppe Monaco, Regione Lombardia; Giuliano Rigoni, AUSL Piacenza; Giuseppe Sampietro, ASL Bergamo; Giannalberta Savelli, AUSL Ravenna; Carlo Turatti, AUSL Ferrara; Annalisa Califano, AUSL Ferrara; Luca Cavalieri D’Oro, Asl Milano 3; Vincenza Perlangeli, AUSL Bologna; Maria Dall’acqua, Asl Mantova; Annalisa Lombardo, Ausl Parma; Domenico Cotrupi, Asl Milano 1; Cecilia Guizzardi, Ausl Imola; Costantia Vrahulaki, AO Sant’Orsola Bologna.
Conflitti di interesse: nessuno

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