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01/07/2025

Dipendenza da alcol: un’unica o molteplici entità nosologiche? Individuare differenze geografiche tra pazienti utilizzando il DSM-4 e l’intelligenza artificiale

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Molti termini e molte tipologie

Il DSM-5, la più recente versione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali dell’American Psychiatric Association, pubblicata nel 2013, ha accolto una serie di cambiamenti nella classificazione dei disturbi mentali rispetto al precedente DSM-4.1,2
Tra questi cambiamenti, c’è un riadattamento della terminologia dei disturbi legati al consumo di bevande alcoliche. Nel DSM-4, questi erano suddivisi in “Dipendenza da alcol” (AD), identificata dalla compresenza di 3 o più dei 7 sintomi specifici nell’arco degli ultimi 12 mesi, e “Abuso di alcol” (AA), diagnosticato quando è presente almeno 1 dei 4 sintomi specifici nello stesso periodo di tempo. Il DSM-5, invece, ha unificato i due termini, sotto la nuova definizione “Disturbi da uso di alcol”, che mantiene gli 11 sintomi corrispondenti alla somma dei 7 sintomi AD e 3 sintomi AA del DSM-4, con l’eccezione del sintomo AA di “Ricorrenti problemi legali correlati all’alcol”, sostituito nel DSM-5 da “Craving”.1,2 Secondo il DSM-5, è sufficiente la presenza di due sintomi per giustificare una diagnosi l di “Disturbo da uso di alcol” lieve.
Nell’uso che ne fa il DSM, i sintomi equivalgono ai criteri che indicano la diagnosi. Oltre a ciò, si consideri che, nella determinazione della diagnosi del DSM, ciascun sintomo è equivalente a ogni altro ed è solo la loro somma numerica che determina la diagnosi. 
Alcuni autori hanno sollevato critiche sulla capacità del sistema DSM di classificare adeguatamente le malattie mentali, osservando che consiste solo in un insieme di sintomi selezionati e basati su accordi fra esperti di vari Paesi e che le categorie patologiche da essi derivate non sono entità nosologiche, non essendo le relative diagnosi supportate da prove empiriche generalizzabili.3 Una critica simile è stata avanzata anche per la Classificazione Internazionale delle Malattie (ICD).4
In ogni caso, a partire dal 1952, anno della prima edizione del DSM,5 si è prodotta una sovrabbondanza di definizioni del fenomeno di alcolismo. Infatti, oltre i termini sopraccitati, sono state introdotte le locuzioni “Bere a rischio”, “Bere ad alto rischio”, “Bere dannoso”, “Bere eccessivo nel tempo”, “Addiction”, “Bere ad alta intensità”.6-9 Questo nel tentativo di dare risposte agli sviluppi via via emergenti dalle osservazioni della diagnostica, della cura e della prevenzione, oltre che dalle mutevoli sensibilità sociali, etiche e politiche. Parallelamente, sono state avanzate diverse interpretazioni del problema, visto come uno stato di malattia, una patologia di personalità, una condizione genetica.10-13 Un recente dibattito contrappone studiosi che intendono la dipendenza come una malattia neurobiologica cerebrale e altri che la concepiscono come un disturbo della motivazione e del comportamento.14,15
Tutti questi termini e tipologie hanno generalmente considerato il fenomeno dell’alcolismo, o dei suoi equivalenti terminologici, come un’entità diagnostica unica tra i vari Paesi e le loro diverse culture, piuttosto che un problema condizionato da queste ultime, concezione peraltro sostenuta da alcuni esperti.16 In effetti, quando vengono considerate le quantità e le modalità di consumo delle bevande alcoliche nella popolazione generale, c’è ampio consenso tra gli studiosi che esse si diversificano tra i vari Paesi, o gruppi di Paesi, secondo specificità culturali17-20 o genetiche21. Alcune ricerche hanno anche individuato che le reazioni sociali all’ubriachezza sono diverse, per esempio, tra l’Europa settentrionale e quella meridionale, con quest’ultima che più stigmatizza l’ubriachezza rispetto alla prima.22 Altri hanno sostenuto che le differenze siano da attribuire alle barriere linguistiche specifiche di ciascuna cultura o addirittura alle diverse visioni politiche.23
In particolare, nel suo celebre libro The Disease Concept of Alcoholism, pubblicato nel 1960, E. Morton Jellinek aveva identificato cinque diversi tipi di alcolismo, non tutti connotati come malattie, e distinti secondo le prime cinque lettere dell’alfabeto greco. Gli alcolisti gamma sono bevitori con tolleranza acquisita, dipendenza fisica e perdita di controllo, e predominano negli Stati Uniti; gli alcolisti delta sono bevitori che manifestano incapacità fisica di astenersi e sintomi da astinenza, predominano in Francia.10 Così facendo, Jellinek rinunciò all’idea di fornire una definizione clinica oggettiva e universalmente valida di alcolismo, aprendo a definizioni antropologiche, da alcuni connotate come solo “nominalistiche”.24,25 È poi possibile estendere le caratteristiche degli alcolisti gamma alle culture nordeuropee e anglosassoni, dove predomina la perdita di controllo,26 e degli alcolisti delta alle culture italiane e sudeuropee, dove sono comuni la incapacità di astenersi e i sintomi di astinenza.27
In seguito, altri autori hanno sottolineato che le concettualizzazioni, e i relativi criteri diagnostici, relativi al fenomeno dell’alcolismo (o equivalenti terminologici) risentono sensibilmente delle norme culturali,23,28 cosicché nei vari Paesi ne risultano non solo alcune imprevedibili differenze diagnostiche, ma anche differenze nelle soglie di trattamento.16
Sulla base di quanto sopra, è stato assunto che “Alcolismo” o “Dipendenza da alcol” – qui usati semanticamente in modo intercambiabile – divergano secondo le diverse geografie e culture del bere dei diversi Paesi.

Obiettivi

Lo scopo di questo studio è stato di indagare: 
1. se in una selezione di Paesi europei esistano diversi tipi di “dipendenza da alcol” (AD) e “abuso di alcol” (AA), così come diagnosticati dal DSM-4; 
2. se queste differenze possano essere in accordo con le differenti culture del bere in Europa.19

Il dataset

L’opportunità di testare l’ipotesi è stata data dalla disponibilità del dataset dello studio “Alcohol dependence in primary and specialist care in Europe” (APC study), coordinato nel 2013-2014 dalla Technische Universität di Dresda in Germania e condotto da numerosi ricercatori, tra cui alcuni degli autori di questo articolo.29 Hanno partecipato a questo studio 9 istituzioni europee di 8 Paesi/Regioni: Austria (Carinzia), Francia, Germania (Sassonia e Berlino-Brandeburgo), Ungheria, Lettonia, Polonia (regioni di Dolnoslaskie, Malopolskie, Podlaskie, Podkarpackie, Pomorskie, Warminsko-Mazurskie), Spagna (Catalogna) e Italia, con indagini separate nelle Regioni della Toscana e del Friuli Venezia Giulia, le quali hanno differenze apprezzabili per modalità di consumo e danni correlati all’alcol.30 Per lo studio, sono stati intervistati 1.767 pazienti tra i 18 e i 64 anni, sia ricoverati (nel 55,1% dei casi) sia trattati ambulatorialmente (nel 34% dei casi), trattati in unità specialistiche per la dipendenza e l’abuso di alcol oppure in trattamento presso psichiatri singoli o gruppi di autoaiuto. I pazienti erano stati sottoposti a un’intervista per investigare quali segnalassero tra gli 11 sintomi del DSM-4 (riferimento diagnostico al momento dell’indagine). La tabella 1 riporta, per ogni Paese interessato, le relative Regioni con il numero di abitanti e le istituzioni coinvolte, il tasso di rifiuto delle strutture contattate e la percentuale di pazienti che si sono rifiutati di partecipare. Si nota che Francia e Germania avevano avuto il tasso di rifiuti più alto. Si sono rilevate differenze marcate tra i Paesi, con l’Austria che aveva reclutato solo pazienti ospedalizzati, la Spagna solo pazienti ambulatoriali, mentre in Italia il 31,4% frequentava gruppi di autoaiuto. 

Tabella 1. Dipendenza da alcol e abuso di alcol nelle cure specialistiche europee: Paesi e Regioni selezionate, dimensione della popolazione, numero e tassi di rifiuto delle strutture specialistiche e dei pazienti contattati. (Da Rehm 2015 – ref. 29).
 

Da notare che il campionamento era stato effettuato secondo le procedure locali e i campioni risultanti avevano un certo grado di eterogeneità. Ciò riflette in parte la realtà dei diversi sistemi di trattamento e di relative linee guida in Europa, in parte le differenti decisioni dei ricercatori di ciascuno dei Paesi coinvolti; infine, in parte può essere riferito alle differenti culture del bere e alle diverse predisposizioni dei pazienti a riferire i propri sintomi. Un altro ostacolo per poter considerare lo studio analizzato come statisticamente rappresentativo risiede nelle diverse definizioni di ciò che costituisce un trattamento specialistico nei vari Paesi.
Su questo set di dati è stata condotta un’analisi secondaria. Sono stati esclusi 14 intervistati a causa di dati mancanti; la dimensione finale del campione è stata di 1.753 soggetti, di cui 1.589 riportavano almeno un sintomo. I 164 intervistati che non hanno riportato sintomi, così come quelli che ne riportavano solo 1 o 2, pertanto diagnosticabili come alcolisti secondo il DSM-4, lo erano comunque clinicamente, essendo trattati in un ambiente specialistico per alcolismo (tabella 2).

Tabella 2. Dipendenza da alcol (AD) e abuso di alcol (AA) nelle cure specialistiche in Europa: frequenza degli intervistati (n. 1.753) secondo 9 aree geografiche e due categorie di inclusione dei sintomi DSM-4. (Da Rehm 2015 – ref. 29)
 

Metodi

A differenza di una precedente analisi che aveva analizzato il data set qui riportato attraverso il Multiple Correspondence Analysis (MCA),31 i dati sulla frequenza dei sintomi di AD e AA sono stati analizzati attraverso l’adozione di tre metodi: Multidimensional Scaling Population Algorithm (MSPA), K-Means clustering, Self-Organizing Map (SOM)32, nell’intento di combinare tecniche di analisi complementari per una comprensione più approfondita dei dati. Ciascun metodo ha offerto vantaggi specifici che hanno potuto sopperire ai limiti delle singole tecniche, migliorando la robustezza e la qualità dell’analisi.33,34
La metodologia del machine learning population è un algoritmo di multidimensional scaling (MDS), che si caratterizza come metodo efficiente e ad alta velocità per eseguire uno scaling multidimensionale basato solo sul calcolo della fitness locale ed è utilizzabile nell’elaborazione di set di dati di grandi dimensioni.32 Lo scopo principale del MDS è di rappresentare dati ad alta dimensionalità in uno spazio a bassa dimensionalità (tipicamente 2D o 3D), preservando il più possibile le relazioni tra i punti originali. Fornisce, quindi, una rappresentazione geometrica dei dati per facilitare un’interpretazione, mantenendo la percezione delle distanze o somiglianze tra gli oggetti osservati. Ogni record viene rappresentato come un punto su una mappa (2D o 3D) e la posizione che assumono tra loro i punti è inerente alla distanza dei tratti di cui sono composti. Il MDS prende in input le distanze vettoriali tra i record e cerca di trovare una configurazione nello spazio a bassa dimensionalità tale che le distanze tra i punti in questo spazio siano il più possibile simili alle distanze originali. Ciò viene fatto minimizzando una funzione obiettivo, chiamata stress, che misura la discrepanza tra le distanze originali e quelle nello spazio ridotto.
La Self-Organizing Maps (SOM) (introdotta da Teuvo Kohonen) è una rete neurale artificiale (RNA) non supervisionata, che produce una mappa auto organizzantesi dei dati di ingresso.35 La mappa della SOM (tipicamente bidimensionale) riesce a rappresentare in modo sintetico set di dati di grandi dimensioni, suddividendoli in cluster e mostrando per ogni cluster i tratti (features) che li caratterizzano. SOM è un metodo unico, poiché combina gli obiettivi degli algoritmi di proiezione e clustering. Può essere utilizzato contemporaneamente per visualizzare i cluster in un set di dati e per rappresentare il set su una mappa bidimensionale in modo tale da preservare le relazioni non lineari tra gli elementi dei dati; gli elementi vicini sono collocati vicini (formando sulla mappa delle creste), mentre i dati che hanno una natura statistica differente vengono allontanati (formando sulla mappa delle valli). Per cui, anche se non esistono cluster espliciti nel set di dati, il metodo di mappatura auto organizzante rivela la struttura sottostante mettendo in luce le vicinanze e le divergenze. I dati che hanno maggiore affinità vengono posti in uno stesso microcluster e, di ogni microcluster, viene fornito un prototipo (codebook) che ha la stessa dimensionalità dei dati che rappresenta. Se la SOM viene impostata con una griglia composta da 5 x 5 unità significa che la SOM potrà distribuire i dati in 25 microcluster e offrirà un prototipo per ogni microcluster. Se si immagina che il dataset sia composto da 1.000 record, al termine dell’elaborazione, la SOM avrà distribuito i 1.000 record nei 25 microcluster. I dati non saranno distribuiti uniformemente nei 25 microcluster, a meno non siano casuali. Quindi, al termine dell’elaborazione, si avranno 25 prototipi dei dati di input che faciliteranno la comprensione di come è fatto il dataset. Ci saranno cluster più popolosi e altri meno e saranno distanziati sulla mappa in base alla loro somiglianza (più vicini) o differenza (più lontani). Ogni codebook ha la stessa dimensionalità dei record, ma i suoi tratti sono costituiti da valori medi rispetto ai valori dei record presenti nel cluster stesso. Ovviamente, più la SOM è ampia e più i codebook sono maggiormente informativi rispetto ai record che rappresentano.
Infine si è utilizzata la tecnica statistica K-means clustering algorithm, un algoritmo di analisi dei gruppi partizionale che permette di suddividere un insieme di oggetti in k gruppi sulla base dei loro attributi.36,37 L’obiettivo che l’algoritmo si propone è di minimizzare la varianza totale intragruppo; ogni gruppo viene identificato mediante un centroide o punto medio. K-means divide, quindi, un dataset in cluster distinti e non sovrapposti minimizzando la varianza intra-cluster.
Rispetto alla MCA, l’impiego di questi metodi può essere motivato dai seguenti vantaggi:

  • SOM è una rete neurale non supervisionata che proietta dati multidimensionali in uno spazio bidimensionale mantenendo le relazioni topologiche: ciò rende SOM particolarmente utile per visualizzare cluster non lineari, mentre l’MCA può essere meno efficace con strutture complesse nei dati.
  • MDS si concentra sulla rappresentazione delle distanze o somiglianze tra oggetti in uno spazio a bassa dimensionalità: a differenza dell’MCA, che è più orientata alla riduzione della dimensionalità con variabili categoriali, MDS può gestire meglio relazioni quantitative e metriche complesse;
  • K-means è un algoritmo di clustering che raggruppa i dati in base alla distanza euclidea: rispetto all’MCA, può essere più diretto nell’identificazione di cluster distinti quando il numero di gruppi è indicato a priori. Offre un metodo quantitativo per definire i cluster, utile per confrontare e validare i risultati ottenuti con SOM e MDS.

In conclusione, la motivazione per l’impiego congiunto di SOM, MDS e K-means è da ricercarsi soprattutto nella complementarietà di questi metodi: sfrutta la forza di ciascuno strumento per compensare i limiti degli altri. Per esempio, mentre SOM e MDS eccellono nella visualizzazione dei dati, K-means fornisce un criterio quantitativo per definire i cluster. Inoltre, confrontare i risultati di più metodi aumenta la affidabilità nei pattern identificati. I tre metodi possono gestire differenti tipi di dati e relazioni, adattandosi meglio a dataset complessi rispetto all’MCA, che può risultare limitante con dati non categoriali o molto non lineari.
Quindi, il ricorso a questi tre metodi si è proposto di superare le limitazioni dell’MCA, offrendo una rappresentazione più ricca e articolata dei dati, con un’analisi robusta e validata da più prospettive.

Risultati

La tabella 2 mostra, per ciascun Paese/area geografica, sia il numero totale di intervistati sia il numero di intervistati secondo due categorie di inclusione:

  • un sottocampione di 1.589 soggetti (90,6% del totale degli intervistati), che aveva riportato almeno uno degli 11 sintomi del DSM-4; qui, in 7 Paesi/aree gli intervistati con un solo sintomo, qualunque esso fosse, superavano il 90% del proprio campione originale, mentre in Ungheria e Spagna erano rispettivamente il 66,9% e il 69,1%;
  • un altro sottocampione consistente di 1.085 intervistati (61,9% del totale degli intervistati), con pazienti che segnalavano almeno tre sintomi AD e almeno un sintomo AA (che soddisfano i criteri DSM-4 per la diagnosi di alcoldipendenza e abuso di alcol) e che in Spagna erano il 4%, in Ungheria e Italia (Toscana) meno del 35% del proprio campione originale.

Pertanto, poiché il secondo criterio appariva troppo restrittivo per alcune aree geografiche, suscitando numeri troppo piccoli per consentire un’analisi adeguata, per il presente studio è stato scelto il primo criterio, includente 1.589 pazienti, tenendo conto che un’analisi preliminare aveva dimostrato che i risultati ottenuti con i due metodi non differivano significativamente tra di loro (dati non mostrati).
La tabella 3 mostra nel dettaglio le frequenze relative a ciascuno degli 11 sintomi AD/AA del DSM-4 per area geografica riportati dagli intervistati che ne hanno riportato almeno uno (n. 1.589), escludendo coloro che non avevano dichiarato alcun sintomo. In ciascuna area, ogni soggetto può aver segnalato un solo sintomo oppure più sintomi. Tra i francesi, i tedeschi, i polacchi e i friulani, oltre il 50% ha riconosciuto di avere almeno uno degli 11 sintomi e oltre il 75% ha riconosciuto di avere AD1 (“Tolleranza: aumento della quantità di alcol o effetto ridotto”), AD3 (“Bere in quantità maggiori o per un periodo più lungo di quanto previsto”) e AA1 (“Consumo ricorrente di alcol con conseguente mancato adempimento di importanti obblighi di ruolo”). I toscani segnalavano nell’86,9% di avere AA1, mentre il 58,8% degli ungheresi indicavano il sintomo AD4 (“Desiderio persistente o tentativi infruttuosi di ridurre o controllare il consumo di alcol”).I pazienti austriaci e lettoni hanno avuto una posizione intermedia tra questi due gruppi, con meno del 15% degli intervistati che riportava il sintomo AA3 (“Bere in quantità maggiori o per un periodo più lungo del previsto”), oltre il 75% che riferiva AA1 (“Consumo ricorrente di alcol con conseguente mancato adempimento di importanti obblighi di ruolo”) e il 50%-75% con 4 sintomi AD su 7.

Tabella 3. Dipendenza da alcol (AD) e abuso di alcol (AA) nelle cure specialistiche in Europa: tasso di frequenza degli intervistati in base alla presenza di almeno 1 sintomo DSM-4 secondo 9 aree geografiche (n. 1.589). (Da Rehm 2015 – ref. 29).
 

I tassi di frequenza dei sintomi AD e AA, mostrati in tabella 3, sono stati analizzati con il metodo di Multidimensional Scaling Population Algorithm (MSPA), che ha collocato su una mappa bidimensionale le 9 aree geografiche sulla base della loro somiglianza. Nella mappa sono rilevanti le distanze e le posizioni che tra di loro occupano le varie aree geografiche (figura 1).

Figura 1. Distribuzione spaziale delle 9 aree geografiche secondo la frequenza dei sintomi che descrivono “Dipendenza da alcol” e “Abuso di alcol” nei 1.589 pazienti delle cure specialistiche in Europa con almeno un sintomo DSM-4, basata sul Multidimensional Scaling Population Algorithm.
 

Quindi, allo scopo di raggruppare le 9 aree geografiche in cluster, è stato utilizzato l’algoritmo K-means clustering sulle coordinate di 9 punti corrispondenti alle 9 aree geografiche europee, prodotte dalla mappa generata da MSPA. È stato utilizzato il software K-means clustering algorithm, impostato sull’individuazione di 3 cluster, per analizzare la mappa dei punti prodotta da MSPA. Il software ha effettuando 1.000 test e, al termine, ha scelto la K-means con il più alto indice di Davies-Bouldin38 individuando i 3 cluster e attribuendo a ogni area geografica il grado di membership, cioè la forza di appartenenza al cluster assegnato (tabella 4).

Tabella 4. Distribuzione in 3 cluster effettuata tramite il K-means clustering algorithm su 1.589 pazienti con almeno 1 sintomo DSM-4 rispetto alle coordinate (X,Y) che le aree geografiche occupano sulla mappa prodotta dall’algoritmo Multidimensional Scaling Population. La membership assegnata da K-means è la forza con cui le aree geografiche fanno parte del cluster.
 

Inoltre K-means clustering algorithm ha collocato sulla mappa MSPA i centroidi dei 3 cluster (figura 2):
1. Italia (Toscana), Ungheria e Spagna;
2. Austria e Lettonia;
3. Italia (Friuli Venezia Giulia), Germania, Francia e Polonia.

Figura 2. Distribuzione delle 9 aree geografiche europee e dei 1.589 pazienti con almeno un sintomo DSM-4, raggruppate in 3 cluster individuati dall’algoritmo clustering K-means sulla mappa prodotta dall’algoritmo di Multidimensional Scaling Population. I quadrati rappresentano i centroidi dei 3 cluster.
 

Nella figura 2 si può vedere come Italia (Toscana) sia più vicina a Ungheria e formi un cluster insieme alla Spagna. Italia (Friuli Venezia Giulia), invece, si avvicina ai Paesi centro-settentrionali quali Germania, Polonia e Francia. Austria e Lettonia si collocano al centro della configurazione.
Al fine di approfondire un’analisi che metta in luce in modo più puntuale la differenza tra la presenza dei vari sintomi dei soggetti nelle 9 aree geografiche, si sono analizzati i sintomi riportati dalle singole persone intervistate e non più le frequenze complessive nei vari Paesi. Quindi, si è proceduto all’elaborazione delle risposte dei 1.753 soggetti del campione allo scopo di individuare comparativamente i sintomi delle persone nei vari Paesi. A questo scopo, si è utilizzata la rete neurale artificiale non supervisionata (RNA) Self Organizing Map (SOM) che ha visionato gli 11 sintomi per ognuno dei 1.753 soggetti. La RNA SOM ha avuto lo scopo di raggruppare i soggetti in micro-cluster su una mappa bidimensionale posizionando nello stesso cluster soggetti con sintomi analoghi o molto simili e posizionando i vari micro-cluster sulla mappa sulla base della loro somiglianza. In uno stesso micro-cluster possono capitare anche soggetti che provengono da aree geografiche diverse, purché abbiano sintomi simili nel DSM-4.
Si è impostata una SOM con una mappa bidimensionale di 10x10 unità. In questo modo, la SOM ha potuto distribuire tutti i 1.753 soggetti in 100 celle, ognuna rappresentante un possibile micro-cluster. Se la distribuzione nelle varie celle fosse casuale, al termine dell’elaborazione dovrebbero esserci circa 17/18 soggetti per cella. 
Nella figura 3 sono mostrati i sintomi che caratterizzano mediamente i 1.753 soggetti intervistati disposti nei cluster. Dall’analisi della distribuzione dei sintomi nei micro-cluster sulla mappa SOM, si evince che a sinistra risultano i soggetti che hanno pochi tra gli 11 sintomi del DSM-4, mentre a destra risultano i soggetti che manifestano tutti o quasi tutti i sintomi. Nella zona restante, invece, ci sono i soggetti che sono collocati in situazioni più sfumate. Nella cella 1,1 (in alto a sinistra della mappa) sono stati collocati tutti i soggetti a cui non sono stati attribuiti i sintomi DSM-4; mentre nella cella 2,9 (in alto a destra), ci sono i soggetti con presenza di tutti gli 11 sintomi.

Figura 3. Sono rappresentati gli 11 sintomi di dipendenza da alcol (AD) e abuso di alcol (AA) che caratterizzano i 100 micro-cluster prodotti dalla RNA SOM 10x10 ottenuti dalla distribuzione dei 1.753 pazienti.
 

Si possono poi visualizzare le singole distribuzioni per area geografica dei soggetti nei micro-cluster della mappa SOM (figura 4).

Figura 4. Frequenze di distribuzione di 1.753 soggetti sulla base dei sintomi di dipendenza da alcol e abuso di alcol, per area geografica di provenienza, sulla mappa SOM. La grandezza dei cerchi è proporzionale al numero dei soggetti presenti nei micro-cluster per area. I 3 gruppi sono stati individuati dall’algoritmo K-clustering means.
 

Nella figura 4 si può vedere anche che le varie distribuzioni non sono analoghe e sparpagliate su tutta la mappa SOM. Poiché per ognuno dei micro-cluster creati la SOM associa gli 11 sintomi dei soggetti, è importante capire in modo più approfondito il perché di queste distribuzioni. 
Nella figura si vede chiaramente che Paesi come Francia, Polonia, Germania e Italia (Friuli Venezia Giula) hanno forti raggruppamenti di soggetti nell’area in alto a destra della mappa dove i sintomi sono in prevalenza positivi e pochi soggetti nelle aree a sinistra dove i sintomi sono in prevalenza negativi. La Lettonia ha soggetti che invece si distribuiscono in entrambe le aree e l’Austria soggetti sparsi un po’ su tutta la mappa. Infine, Italia (Toscana), Ungheria e Spagna hanno soggetti che, al contrario, sono disposti sulla mappa in aree dove i sintomi sono in prevalenza negativi e pochi nelle altre aree.

Discussione

Risultati simili sono stati raggiunti utilizzando un metodo di analisi diverso, il Multiple Correspondence Analysis, come è mostrato in altra pubblicazione31. Ciò è di particolare interesse, poiché è indicativo di come l’approccio statistico classico e i nuovi metodi che si servono delle metodiche di intelligenza artificiale giungano qui a risultati sovrapponibili. Tuttavia, anche se in questo lavoro i risultati ottenuti dalla Multiple Correspondence Analysis e la metodica di intelligenza artificiale SOM giungono a conclusioni simili, non vuol dire che questo avvenga in tutti i casi e che le due metodiche siano in grado di rilevare esattamente le stesse relazioni tra i dati. SOM può adattarsi meglio a dati complessi o non lineari, mentre MCA è limitata dalla sua natura lineare. MCA funziona bene con dati categoriali strutturati e semplici, ma fatica con dataset complessi o con molte variabili e categorie, dove il rumore può offuscare le relazioni. SOM è più robusta per dataset complessi e ad alta dimensionalità; può rivelare strutture latenti anche in presenza di rumore e relazioni intricate. 
Ulteriori studi per paragonare adeguatamente i due approcci potranno, a ogni modo, essere utili.
Le suddette macroaree, con alcune eccezioni significative, corrispondono a norme, valori e culture del consumo alcolico simili al loro interno e diverse tra di loro; si può ritenere ragionevolmente che le diverse culture possano essere in grado di influenzare sia le percezioni sia i sintomi dei pazienti che hanno una dipendenza o un abuso di alcol e che vivono in tali culture. 
Così, si osserva che in tre dei 4 paesi della macroarea 1 – Polonia, Germania (Sassonia e Berlino-Brandeburgo) e Italia (Friuli Venezia Giulia) – birra e superalcolici sono bevande tradizionali, consumate spesso fuori pasto, che appaiono condividere una modalità di bere tipico dei Paesi nordici e orientali, dove il bere fino all’intossicazione è frequente.27,39-41 Tuttavia, la Francia, con la sua tradizione storico-culinaria di bere vino durante i pasti, risulterebbe un’anomalia per questa macroarea, per cui i sintomi riportati dai suoi pazienti dovrebbero essere meglio indagati.
Due Paesi della macroarea 2 – la Catalogna in Spagna, la Toscana in Italia –, pure con i cambiamenti occorsi negli ultimi anni, sono ancora caratterizzate da un consumo di tipo mediterraneo, manifestando una modalità tipica del bere ai pasti.42,43 Il terzo Paese di questa macroarea, l’Ungheria, non condivide però le modalità del bere mediterraneo, quantunque possieda una radicata tradizione di coltivazione di vitigni e di consumo di vino.44
Riguardo ai due Paesi della macroarea 3, l’Austria, con una tradizione di consumo di birra e vino, può rappresentare una posizione intermedia di una Europa centrale, posta tra le culture del bere europeo settentrionale e meridionale.45 Viceversa, la Lettonia è un Paese a prevalente ed elevato consumo di birra e superalcolici, secondo la tradizione del bere nordico;46 ciononostante, vi si rileva una lunga tradizione vinicola, tipica della regione di Sabile.
Un limite alla generalizzabilità di questo studio, rispetto all’intera Europa, è nella mancanza di dati provenienti almeno dai Paesi scandinavi e dal Regno Unito.
Il dataset utilizzato per la nostra analisi conteneva dati dell’intero Paese solo per Francia e Lettonia, mentre i valori di Germania, Austria, Polonia e Spagna provenivano solo da alcune delle loro Regioni, che potrebbero essere non rappresentative dell’intero Paese.29 Inoltre, per l’Italia, la Toscana e il Friuli Venezia Giulia sono considerate aree separate, date le loro definite differenze sia nei modelli di consumo sia nei danni correlati all’alcol.
Un altro limite è che il dataset non è stato costruito su un campione casuale di pazienti alcolisti in trattamento, ma su una loro selezione opportunistica e non statisticamente rappresentativa.29 Inoltre, il numero di pazienti varia notevolmente secondo i Paesi: da 33 in Austria a 284 in Francia.
Il DSM-4 (e il DSM in generale) è solo uno degli strumenti diagnostici presenti in letteratura sul tema dell’alcolismo, seppure il più usato. Inoltre, per confrontare meglio i Paesi, è stata qui utilizzata la presenza di almeno un sintomo tra gli 11 del DSM-4, invece di almeno 3 sintomi di AD e 1 di AA solitamente utilizzati per la diagnosi.
Infine, nel DSM-4, i criteri di dipendenza da alcol possono essere suddivisi in sintomi biologici, sociali e comportamentali/psicologici. Anche i criteri di abuso di alcol potrebbero essere suddivisi in sintomi legali, sociali e personali/psicologici. Gli autori non hanno considerato tali aspetti in questa pubblicazione.

Conclusioni

In questo studio, la distribuzione dei sintomi del DSM-4 tra gli alcolisti in trattamento nei 9 Paesi/Regioni europee appare avvenire secondo tre macroaree geografiche distinte. Si propone che questa diversa distribuzione possa, almeno in parte, dipendere dalla diversità delle rispettive culture del bere, che possono essere rappresentate da una macroarea incentrata prevalentemente sul consumo di birra e superalcolici, da un’altra tradizionalmente orientata al consumo di vino e da una terza macroarea nella quale si trovano consumi intermedi. I risultati relativi ad alcuni Paesi (in particolare, Francia, Ungheria e Lettonia) contraddicono questa ipotesi, il che potrebbe essere riferito alle diverse modalità di selezione dei pazienti (ricoverati, ambulatoriali, trattati da singolo psichiatra, aderenti a gruppi di autoaiuto), già segnalate nella sezione che descrive il dataset, nonché alle differenti culture del bere con diverse predisposizioni dei pazienti a riferire i propri sintomi. Ulteriori investigazioni meriterebbero comunque di essere compiute per valutare se queste conclusioni siano generalizzabili per i Paesi investigati e per l’Europa.
In ogni caso, la dipendenza da alcol, o alcolismo, rappresenterebbe una configurazione multidimensionale culturalmente determinata, secondo i valori, le norme, le tradizioni dello stile di vita, attribuiti alle varie bevande alcoliche dalle popolazioni e nelle Regioni da loro abitate.19
Ci si troverebbe, quindi, di fronte a un fenomeno che non ha – come è invece tipico delle malattie biomediche – caratteristiche di immutabilità, unicità e universalità, ma conserva piuttosto un «carattere insolitamente complesso e stratificato».47
Da questo punto di vista, gli alcolisti non sarebbero da considerare una nosografia omogenea, ma una gamma di popolazioni eterogenee che, pur condividendo conformità biologiche, non presentano comunanze dal punto di vista psicosociale. Questo dovrebbe rendere attente le ricerche epidemiologiche sull’alcolismo a includere nell’analisi dei dati non solo i fattori biologici sulla quantità dei consumi, sui danni correlati e sui fattori sociodemografici, ma anche le variabili culturali. Inoltre, i protocolli di intervento univoci, focalizzati al trattamento biochimico, potranno dimostrare un certo livello di inefficacia, mentre è necessario prestare attenzione alle diverse condizioni sociali e di contesto.15,48 Questo tipo di trattamento e altre tipologie di intervento dovrebbero essere adattati alle peculiarità dei diversi Paesi e comunità.49 Da questo punto di vista, il programma di alcolisti anonimi ne è un esempio, in quanto, pur essendo un programma diffuso in tutti i Paesi, è stato adattato a diverse lingue e culture.50,51 
Un ulteriore interrogativo riguarda la capacità del DSM-4 (e del DSM in generale) di identificare le persone che manifestano uno stato di dipendenza da alcol attraverso i suoi criteri diagnostici. Si può presumere che chiunque sia trattato per “Dipendenza da alcol” o “Abuso di alcol” sulla base del DSM-4 in un programma specialistico di trattamento, come nel presente studio, sia affetto da questo problema, dato che è stato sottoposto a qualche forma di osservazione clinica e inserito nel programma stesso. Tuttavia, nel nostro set di dati, 164 persone in trattamento non hanno riportato alcun sintomo di AD/AA, 1.513 hanno riportato almeno 1 sintomo di AD e 1.288 casi hanno riportato almeno 2 sintomi di AD; molti soggetti non corrispondono a una diagnosi di dipendenza da alcol secondo i criteri DSM-4 (che richiede di avere almeno 3 sintomi di AD negli ultimi 12 mesi). Una spiegazione per questa contraddizione può essere che l’inserimento nei programmi di trattamento alcologici, in alcuni casi, ha avuto una soglia particolarmente bassa, consentendo l’accesso a persone con minori problemi associati al consumo di alcol. Ciò è supportato dall’osservazione che i pazienti nei servizi ambulatoriali, presumibilmente con problemi meno seri rispetto agli ospedalizzati, sono stati identificati principalmente in Ungheria, Italia (Toscana) e Spagna, Paesi in cui si riscontra la maggior parte delle risposte negative ai sintomi, mentre il tasso dei ricoverati rispetto al campione dei loro intervistati era 27,6%, 13,8%, 0%, laddove negli altri Paesi era superiore al 64%.29 Tali osservazioni necessitano di un ulteriore approfondimento.
Infine, poiché il presente studio si basa sui dati originati da interviste a pazienti, non è da dimenticare che ci sono discrepanze tra quanto le persone dicono e quanto fanno. Le differenze culturali che osserviamo potrebbero essere ascritte alle norme sociali attraverso le quali le persone percepiscono le bevande alcoliche e l’alcolismo piuttosto che alla diversità delle condotte. Al momento, non si hanno evidenze per corroborare questo assunto.

Conflitti di interesse dichiarati: nessuno.

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