E&P 2009, 33 (4-5) luglio-ottobre

AIDS e tossicodipendenza: determinanti della sopravvivenza nell’era delle terapie antiretrovirali altamente efficaci

Antonella Zucchetto, Silvia Bruzzone, Angela De Paoli, Vincenza Regine, Marilena Pappagallo, Luigino Dal Maso, Diego Serraino, Giovanni Rezza, Barbara Suligoi

Obiettivi: stimare la sopravvivenza dopo la diagnosi di AIDS delle persone che hanno contratto l’infezione da HIV attraverso l’uso iniettivo di droghe (IDU), individuare quali variabili, tra quelle rilevate alla diagnosi di AIDS, risultano associate alla prognosi e descrivere la frequenza delle condizioni morbose presenti alla morte.
Disegno:
studio di popolazione longitudinale.
Setting e partecipanti:
4.040 IDU diagnosticati con AIDS in Italia nel periodo 1999-2005.
Metodi:
lo stato in vita è stato aggiornato al 2006, attraverso una procedura di record linkage tra il registro nazionale AIDS e il database ISTAT della mortalità. La sopravvivenza è stata stimata con il metodo di Kaplan-Meier, mentre l’impatto dei fattori prognostici sul rischio di morte è stato calcolato in termini di hazard ratio (HR), con i rispettivi intervalli di confidenza al 95% (IC 95%), utilizzando il modello multivariato di Cox.
Risultati:
a 2 anni dalla diagnosi di AIDS, la sopravvivenza degli IDU risultava del 72%, mentre a 5 anni era del 60%. Rischi di morte elevati sono emersi per gli IDU con età più avanzata al momento della diagnosi (HR=2,0 IC 95% 1,6-2,4 per >45 anni rispetto a <35 anni), per quelli con basso livello di istruzione (HR=1,4 IC 95% 1,2-1,7 per licenza elementare rispetto a diploma/laurea), maggiore intervallo temporale tra prima positività al test HIV e diagnosi di AIDS (HR=1,6 IC 95% 1,4-1,9 per intervallo >6 mesi rispetto a intervallo <6 mesi) e minore numero di cellule CD4 alla diagnosi di AIDS (HR=1,5, IC 95% 1,3-1,7 per <50 cellule/mm3 rispetto a >200 cellule/mm3). Rispetto alla polmonite da Pneumocystis carinii, i linfomi non-Hodgkin risultavano il peggiore fattore prognostico, in particolare il linfoma primitivo cerebrale (HR=7,2 IC 95% 4,4-11,8). Su 1.581 IDU deceduti, per 1.567 soggetti era disponibile l’informazione sulle condizioni morbose alla morte. Nel 52% dei casi le malattie indicative di AIDS non erano menzionate nel certificato di morte: in 64 casi (4%) si trattava di cause violente, in 94 casi (6%) di tumori e in 656 casi (42%) solo di malattie non neoplastiche, fra cui 415 (27%) patologie epatiche.
Conclusione:
i risultati di questo studio su base di popolazione hanno dimostrato che, nell’era delle terapie antiretrovirali altamente efficaci, la sopravvivenza degli IDU con AIDS è ancora ridotta rispetto a quella dei gruppi di persone contagiate con HIV per via sessuale. La presenza alla morte, nel 52% dei casi, di condizioni morbose non indicative di AIDS indica un importante ruolo sulla mortalità di numerose comorbidità, incluse le infezioni da virus epatitici e le cause violente.