Da molti mesi, tecnici, ricercatori, società civile, Stati Membri, Parlamento Europeo e Commissione EU sono impegnati nella definizione del testo della nuova Direttiva europea sulla Qualità dell’Aria (vedi box a p. 319 di questo fascicolo). Un processo di negoziazione che in Italia ha visto i governi regionali padani invocare maggiore realismo e flessibilità, obiettando che i limiti e gli scenari proposti in sede europea sarebbero per l’Italia irraggiungibili. A chi, come noi, segue il tema da tanto tempo, pare che la discussione in corso sia ancora una volta incentrata su un errore che da sempre affligge le politiche sulla qualità dell’aria nel nostro Paese: si tenta di curare il problema, irrisolto da decenni, facendo le stesse cose fatte in passato. Un po’ di tecnologia, qualche simulacro di nuove pratiche caratterizzate da esasperante lentezza e, in sottofondo, il leit motiv del “si è sempre fatto così”, che paralizza la svolta. Per favorire il cambiamento, avvalendoci del contributo dell’European Environment Bureau, dell’Associazione italiana di epidemiologia, di Legambiente e del professor Lorenzo Pagliano del Politecnico di Milano, abbiamo inviato al Ministro per l’Ambiente e Sicurezza Energetica qualche pagina sui punti critici della negoziazione e sulle azioni che possono ridefinire le politiche dell’aria nel nostro Paese.

Assumersi le responsabilità e smettere di procrastinare

Circa la negoziazione, abbiamo fatto presente che le proposte avanzate da alcuni stati rappresentano una minaccia per il futuro del nostro Paese – come, per esempio, la cosiddetta shared responsibility clause, che mira a rinviare alla Commissione Europea la responsabilità di inadempimenti riconducibili alla normativa europea, o come la spinta a fare dell’articolo 18 della nuova Direttiva un vero e proprio elastico a disposizione dei governi per posticipare quasi all’infinito il termine entro il quale rientrare nei limiti previsti. Opzioni di rinvio e flessibilità sui tempi e sugli obiettivi da raggiungere determineranno di fatto un abbassamento del livello di azione verso la riduzione degli inquinanti atmosferici – e, quindi, delle emissioni climalteranti – e metteranno in discussione la preminenza della salute pubblica e della scienza sugli argomenti di matrice essenzialmente politica che, anche secondo la Corte di Giustizia Europea, sono privi di rilievo.

Il diritto di difesa

Un altro tema è quello dell’inversione dell’onere della prova, in favore dei cittadini, sulla causa del danno alla salute determinato dall’inquinamento atmosferico (articolo 28). Una scelta in armonia sia con le precedenti norme europee a tutela del diritto di difesa delle fasce deboli, sia con l’articolo 24 della nostra Costituzione che, per rendere effettivo tale diritto, impone il divieto di interpretare la legge in modo da rendere impossibile o troppo difficile l’esercizio dell’agire in giudizio. 

Una strategia nazionale sovraordinata

In considerazione delle procedure di infrazione pendenti e del danno sanitario1 che deriva al nostro Paese dall’inquinamento atmosferico, sarebbe opportuno adottare una nuova strategia nazionale tenuta alla valutazione delle misure, anche regionali, necessarie a ricondurre ogni area del Paese al rispetto delle norme europee in materia e alla tutela della salute come bene costituzionalmente protetto di rilievo primario. Lo stallo dei miglioramenti determinato da politiche regionali errate – sotto gli occhi di tutti per quanto riguarda, per esempio, la Lombardia – non può essere sottaciuto a livello nazionale, consentendo anzi ulteriori rinvii o strategie che invocano “la compensazione delle emissioni” in aree in cui muoiono ogni anno migliaia di persone per la pessima qualità dell’aria. È indispensabile creare al più presto il sovraordinamento della pianificazione in materia di qualità dell’aria rispetto alla restante pianificazione nazionale e regionale che può incidere sulla qualità dell’aria (trasporti/Logistica, PNIEC, Piano strategico PAC, Piano delle aree, Piano portualità e logistica eccetera), dando altresì rilievo al ruolo che le misure non tecniche – mediamente le più economiche per la popolazione e il Paese – possono avere nel contribuire al miglioramento della qualità dell’aria.

Una svolta che fa bene alla salute

Una posizione dell’Italia a supporto di un testo più ambizioso della nuova Direttiva potrebbe non solo dare un contributo essenziale all’attuale negoziazione in sede europea, ma anche determinare una svolta a livello nazionale riducendo l’impatto sanitario sulla popolazione italiana, il costo ad esso associato, e il danno agli ambienti naturali e al nostro patrimonio culturale.

Sia chiaro infatti che nel nostro Paese ritardare politiche efficaci per il miglioramento della qualità dell’aria determina, di per sé, la decisione di sacrificare la qualità della vita e la vita stessa di migliaia di persone ogni anno. Come Paese possiamo davvero ignorare che «l’inquinamento atmosferico rappresenta la maggiore minaccia ambientale alla salute pubblica in Italia. (...)», che «L’esposizione media della popolazione supera i limiti di cui alle linee guida dell’OMS 2021 di oltre tre volte» e «72.083 morti premature (di cui 39.628 nella pianura padana) potrebbero essere prevenute (ogni anno, n.d.a.) se le concentrazioni degli inquinanti dell’aria non eccedessero i livelli raccomandati dalle linee guida dell’OMS quanto a PM2.5, mentre altre 30.661 vite sarebbero state salvate (5% della mortalità totale) rispettando i livelli delle linee guida del 2021 per l’NO2»?1 E passare sopra a quanto ricordato dagli oltre 14.000 pediatri che hanno scritto ai Sindaci2 di proteggere i bambini da un “impatto sulla salute anche in età adulta e, addirittura, transgenerazionale”?

Le cause sono chiare, e anche la direzione in cui muoversi

Eppure, le cause della nostra cattiva aria sono chiare. E non si limitano alle montagne che contornano a Nord la Pianura Padana. Ma sono dovute ad azioni errate, ripetute e omesse dove l’evidenza scientifica indicava, da decenni, la diversa direzione in cui muoversi. Sono passati più di 15 anni da quando i ricercatori del Joint Research Center (JRC, Ispra, VA) chiamati ad analizzare il problema padano ammonirono che le enormi concentrazioni di inquinanti derivanti dal traffico non sarebbero state spazzate via affidandosi unicamente alla tecnologia. E che serviva investire sulla riduzione dei chilometri percorsi.  Una ricetta applicabile alle aree urbane in ogni parte del nostro Paese. Un modo per dirci che occorreva cambiare modo di spostarsi; un messaggio ignorato da allora sino ad oggi. E che ha anzi visto una riduzione dell’offerta di trasporto pubblico3 e un’esplosione di nuove infrastrutture su gomma, realizzate o pianificate. 

Il da farsi

Una ricetta la cui implementazione potrebbe partire dall’immagine di Open Street Map pubblicata in una ricerca ISTAT4 che mostra l’Intensità dei Punti di Traffico sul grafo stradale nazionale. E, quindi, le aree sulle quali investire in termini di mobilità non inquinante e alternativa al trasporto su gomma. Partendo dalla riduzione della mobilità privata motorizzata nelle aree urbane e sul medio o corto raggio con strumenti utilizzati con successo in tutta Europa come:  

  1. intermodalità ferro/TPL/ciclovie dalle aree metropolitane verso i centri, 
  2. logistica attiva di ultimo miglio entro le aree urbane e EV al di fuori di esse, 
  3. servizio ferroviario regionale ed interregionale di medio e corto raggio, con infrastrutture che favoriscano l’intermodalità (bici-stazioni, predisposizione delle stazioni per un migliore utilizzo da parte della popolazione di tutte le fasce di età),
  4. sharing di breve e media durata capace di sostituire l’auto di proprietà, presso le stazioni ferroviarie delle aree urbane medio-piccole, 
  5. ZTL per ridurre il carico di inquinanti entro le città, 
  6. dense reti ciclabili nelle aree urbane e super-ciclabili che connettano i comuni delle aree urbane che consentirebbe, secondo i dati calcolabili in base allo strumento HEAT, dell’Organizzazione mondiale della salute, di risparmiare ogni anno, centinaia di milioni in salute pubblica riducendo al contempo la spesa per le infrastrutture di trasporto pubblico il cui utilizzo viene parzialmente sostituito dalla mobilità attiva, 
  7. incentivi e sgravi fiscali per l’attuazione di sistemi aziendali che favoriscano la mobilità sostenibile aziendale e il lavoro da remoto. 

Merci su ferro, trasporto pubblico e biciclette

E continuando, al più presto, con l’interruzione dei Sussidi Ambientalmente Dannosi e dei finanziamenti ad azioni che comportano la produzione o continuazione di emissioni inquinanti favorendo viceversa gli stanziamenti verso le misure che le riducono. Si pensi allo spostamento dei fondi dalle nuove autostrade a un impegno serio volto a spostare una parte rilevante del traffico merci su ferro. O all’uso ancora ridotto che l’Italia fa dei fondi strutturali per la ciclabilità,5 allo spreco di fondi pubblici nei cosiddetti “bonus auto” in un Paese che ha il più elevato livello di motorizzazione in Europa, fondi che potrebbero essere più utilmente usati per fare un serio “piano bici nazionale” come sta accadendo in Francia, la rete ciclabile di 1.300 km costruita a Parigi in pochi anni, o per azioni di incentivazione all’utilizzo del trasporto pubblico come il Deutschlandticket a €49 al mese, o come il piano mobilità della Ragione Brandeburgo di luglio 2023, che prevede investimenti in trasporto pubblico, collegamenti di trasporto pubblico ogni ora per tutti i villaggi, highway ciclabili tra le città, e zero investimenti in nuove infrastrutture viarie.6

Edifici e biomasse

Gli stessi ricercatori del JRC spiegarono già allora ai lombardi il rilievo cruciale che l’uso dei combustibili solidi e le emissioni derivanti dall’agricoltura avevano nella formazione del particolato padano, in gran parte secondario. Parole cadute nel vuoto. Eppure la ricerca indica che, per quanto riguarda i consumi energetici degli edifici, sono fattibili tecnicamente ed economicamente7 ristrutturazioni dell’involucro che riducano dell’80-90% il “fabbisogno di energia termica per riscaldamento e raffrescamento” e che occorre per lo Stato superare le “barriere di mercato” alla realizzazione degli interventi (informazione dei proprietari di immobili, formazione dei progettisti e dell’industria costruzione, accesso al credito), con programmi di incentivazione anche esterni al bilancio dello stato, e dunque stabili nel tempo rispetto a quelli da approvare ogni anno in Legge Finanziaria. Tali programmi esistono in Italia (Titoli di Efficienza Energetica dal 2004 e Conto Termico più recentemente), vanno potenziati e meglio finalizzati a promuovere interventi all’avanguardia. Sono finanziati con un piccolo prelievo sul prezzo dell’energia, prelievo che, nella situazione attuale di sovra-profitti dell’industria fossile, andrebbe effettuato almeno in parte a monte della filiera, anziché (solo) a valle, cioè sui consumatori finali. Per le tariffe al consumatore finale, il “segnale di prezzo” a favore di efficienza e sufficienza dovrebbe essere realizzato mettendo in evidenza i danni ambientali del consumo elevato, in particolare sui consumi alti, sgravando al di sopra di un certo consumo di base (meccanismo delle tariffe progressive, in cui il prezzo dell’unità di energia sale al crescere del consumo e raccomandato da esperti del Nord e del Sud globale). Eppure, ogni anno il nostro governo mette molte centinaia di milioni a budget per aiutare i cittadini a sostituire le vecchie stufe a pellet con altre più recenti…

Agricoltura

Quanto all’agricoltura, in base ai modelli sviluppati nell’ambito del progetto europeo PREPAIR, le emissioni di fonte agro-zootecnica sono ormai prossime ad eguagliare il contributo del trasporto stradale, come fonte prioritaria di particolato secondario. Le regioni padane assommano la quota largamente prevalente degli impieghi di fertilizzanti a base urea, con apporti che in Lombardia e Emilia Romagna sono vicini a 100kg Nr/ha, e hanno un carico di animali allevati che, con una particolare concentrazione in Lombardia, raggiungono livelli di emissioni di ammoniaca da deiezioni zootecniche, in rapporto al territorio, tra i più alti d’Europa: in Lombardia si superano le emissioni di uno Stato Membro a notoria, altissima intensità zootecnica, i Paesi Bassi. In questa situazione di grave squilibrio, non è ragionevole pensare che le sole BAT (Best Available Technique) che promettono di ridurre le perdite di azoto per volatilizzazione possano risolvere la situazione: l’impiego di queste deve affiancarsi a una riduzione del carico di azoto collegato a coltivazioni e allevamenti, quindi a una riduzione del carico zootecnico. Su questo versante, né l’Italia né le Regioni hanno fino ad oggi condotto nemmeno la più embrionale delle politiche, fatto che spiega perché, diversamente da altri inquinanti, non sia ravvisabile alcun trend di riduzione delle emissioni di ammoniaca. Ciò avviene nonostante il settore agricolo sia ampiamente sostenuto dai regimi pubblici di aiuto della Politica Agricola Comune, che darebbero grande agio nel manovrare leve economiche atte a rendere sostenibili, per aziende e filiere, variazioni degli ordinamenti agronomici atti a far fronte a emergenze ambientali come quella dell’inquinamento atmosferico, oltre che a migliorare complessivamente la sostenibilità ambientale dell’agricoltura padana. In conclusione, non è, dunque, possibile affermare che le regioni del Nord Italia abbiano impostato politiche necessarie ad affrontare la riduzione delle emissioni di origine agro-zootecnica. Anzi, persino le recenti pubblicazioni scientifiche dei ricercatori interni alle regioni padane8 confermano che per raggiungere i limiti ipotizzati in sede europea si debba andare al di là delle misure tecnologiche, mancando tuttavia di disegnare un quadro completo delle tante azioni che potrebbero essere adottate e che non lo sono. 

Troppe carenze

Di fronte al vuoto di programmazione di un vero cambiamento nelle misure da adottare, è difficile stupirsi del fatto che il rapporto redatto in base alla Direttiva NEC,9 giudichi carente nella sostanza il nostro Programma Nazionale di Controllo dell’Inquinamento Atmosferico e consideri non credibili o ad alto rischio praticamente tutte le indicazioni di futura riduzione delle emissioni inquinanti in Italia al 2029.

Il nostro Paese ha intelligenze che andrebbero spostate alla politica.

Conflitti di interesse dichiarati: l’autrice è presidente di cittadiniperlaria.org.

Bibliografia

  1. Stafoggia M, de’ Donato F, Ancona C, Ranzi A, Michelozzi P. Health impact of air pollution and air temperature in Italy: evidence for policy actions. Epidemiol Prev 2023;47(3)Suppl1:22-31. doi: 10.19191/EP23.3.S1.A619.040
  2. Lettera dei pediatri ai sindaci. Disponibile all’indirizzo: https://drive.google.com/file/d/155PDzb5eMqp4ZyFF82Dh1e-5MKcAv9Lk/view?usp=sharing
  3. Rapporto nazionale Monitor-Trasporti - ReOPEN SPL. Disponibile all’indirizzo: https://reopenspl.invitalia.it/-/media/spl/documents/_italia-tpl/rapporto-nazionale-monitor-trasporti.pdf?la=it-it&hash=E6F9187FBAB9A6D00A09E1F059201396C4F6232DKK
  4. Disponibile all’indirizzo: https://www.istat.it/it/archivio/257382K
  5. ECF. An analysis of cycling investments by EU Member States using EU Structural Funds, p. 18. Disponibile all’indirizzo: https://ecf.com/system/files/ECF_Policy_Brief_EU_Structural_Funds_for_Cycling_Investments.pdf
  6. Disponibile all’indirizzo: https://fulfill-sufficiency.eu/wp-content/uploads/2023/10/D2.1-Literature-review-revised-version.pdf
  7. Erba S, Pagliano L. La transizione energetica del patrimonio: comfort, equità, riduzione dell’uso di energia. In: Ricomporre I Divari. Politiche e progetti territoriali contro le disuguaglianze e per la transizione ecologica. Percorsi. Economia/Urbanistica. Bologna, Il Mulino, 2021.
  8. Colombo L, Marongiu A, Malvestiti G et al. Assessing the impacts and feasibility of emissions reduction scenarios in the Po Valley, Front Environ Sci 2023;11:11. doi: 10.3389/fenvs.2023.1240816
  9. DIRETTIVA (UE) 2016/2284 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 14 dicembre 2016 concernente la riduzione delle emissioni nazionali di determinati inquinanti atmosferici. Disponibile all’indirizzo: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=uriserv:OJ.L_.2016.344.01.0001.01.ENG&toc=OJ:L:2016:344:TOC
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