L’inquinamento atmosferico e l’esposizione a inquinanti in ambiente di lavoro sono strettamente correlati a esiti negativi sulla salute della popolazione. Secondo lo studio Global Burden of Disease (GBD), l’inquinamento atmosferico ambientale e domestico è al 4° posto tra i 20 principali fattori di rischio per mortalità; l’esposizione occupazionale raggiunge il 12° posto nei maschi e il 16° posto nelle femmine.Si stima che l’inquinamento dell’aria esterna abbia causato 4,5 milioni di morti premature in tutto il mondo nel 2019.2 C’è una forte evidenza di una relazione causale tra l’esposizione all’inquinamento atmosferico da particolato con un diametro aerodinamico inferiore a 2,5 µm (PM2,5) e la mortalità per tutte le cause, per infezioni acute delle basse vie aeree, cardiopatia ischemica, ictus, broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) e cancro ai polmoni.1 Un numero crescente di prove suggerisce anche una relazione con l’asma, il diabete di tipo II e gli impatti sulla mortalità neonatale dovuti al basso peso alla nascita e alla breve gestazione, nonché effetti neurologici nei bambini e negli adulti.La necessità di essere informati sugli effetti dell’inquinamento atmosferico sulla salute è rafforzata dal rapporto 2022 sulla qualità dell’aria in Europa dell’Agenzia europea dell’ambiente, che ha mostrato il numero di morti premature attribuibili a esposizioni ai principali inquinanti nei 27 paesi membri dell’UE: 238.000 per PM2,5, 49.000 per biossido di azoto (NO2) e 24.000 per ozono (O3) (esposizione acuta). Considerando le nuove linee guida dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), in Italia le morti premature dovute al superamento di 5 µg/m3 di PM2,5 nel 2020 sono state 52.300.4 L’OMS e l’International Labour Office (ILO) hanno prodotto recentemente stime dei rischi attribuibili all’esposizione nei luoghi di lavoro, concludendo che i rischi occupazionali sono sottovalutati come determinanti di salute.5 A livello mondiale, le due agenzie hanno stimato complessivamente 1,9 milioni di morti attribuibili ai fattori di rischio professionali nel 2016: 80% per malattie e 20% per infortuni. Il maggior numero di decessi attribuibili è dovuto all’esposizione a orari di lavoro prolungati (≥55 ore settimanali), seguito da esposizione a polveri, fumi e gas e da infortuni sul lavoro. L’esito sanitario con il maggior carico di decessi legati al lavoro è stata la BPCO, seguita da ictus, cardiopatia ischemica e tumori di trachea, bronchi e polmoni.

Queste evidenze indicano che l’esposizione all’inquinamento atmosferico e quella occupazionale hanno un elevato impatto sulla salute della popolazione; la distinzione fra tali esposizioni è, quindi, generalmente inadeguata. In molti casi si tratta di una distinzione fuorviante, non solo perché molti fattori di rischio sono allo stesso tempo presenti nei luoghi di lavoro e negli ambienti di vita, ma perché le linee di azione causale interagiscono in modalità sinergica. Gli studi di epidemiologia ambientale sono complessi per una serie di ragioni strutturali. Si tratta di indagare effetti sulla salute che sono per natura multifattoriali; le caratteristiche individuali possono rivestire un ruolo determinante. Lo stile di vita insalubre, le cattive abitudini alimentari, il fumo di tabacco e lo stato socioeconomico svantaggiato sono fattori di rischio estremamente diffusi: è necessario predisporre strumenti metodologici adeguati al rilevamento e trattamento. Analogamente, negli studi di carattere occupazionale, la corretta valutazione del peso dei fattori di rischio per la salute presenti nei luoghi di lavoro non può prescindere dall’analisi delle componenti di rischio ambientale. La residenza dei soggetti studiati e l’eventuale presenza di fonti di inquinamento sono rilevanti per la corretta impostazione ed esecuzione degli studi di epidemiologia occupazionale, anche ai fini di una stima dei relativi contributi, considerando la natura ubiquitaria dell’inquinamento atmosferico. Dobbiamo inoltre considerare che l’inquinamento atmosferico può avere effetti diretti sulla salute, ma anche indiretti, interagendo con altri fattori di rischio, come il fumo o l’esposizione professionale ad agenti nocivi. Per ridurre gli effetti sulla salute, sono fondamentali le politiche di riduzione dell’inquinamento atmosferico, le misure di prevenzione occupazionale e del tabagismo, nonché la sensibilizzazione del pubblico. Nonostante queste considerazioni siano condivise dalla comunità scientifica e non vi sia alcuna discussione sulla necessità di un paradigma di riferimento per l’analisi integrata dei fattori di rischio ambientali e occupazionali, nella pratica corrente, in molti studi di epidemiologia ambientale, l’attenzione ai fattori di rischio legati al lavoro dei soggetti studiati appare assente o inadeguata; analoga situazione avviene con l’esposizione ambientale, non valutata in maniera adeguata negli studi di epidemiologia occupazionale. In questo quadro, la considerazione della storia occupazionale (e non della sola occupazione al momento della rilevazione) dei soggetti arruolati negli studi di coorte o negli studi trasversali per la valutazione degli effetti dell’esposizione ambientale, risulta essenziale, sia per la valutazione dello specifico ruolo dell’occupazione come determinante di salute, sia per stimare senza distorsioni il peso della componente di rischio strettamente ambientale. Le nuove tecnologie hanno reso possibile l’integrazione di fonti di dati provenienti da diverse sorgenti per ottenere informazioni più approfondite e complete. La grande sfida è quella di arricchire, collegare e analizzare dati preesistenti raccolti per scopi talvolta diversi da quelli dell’epidemiologia ambientale. Tra questi si trovano i registri di mortalità, gli studi di coorte basati su dati amministrativi, gli studi analitici su campioni di popolazione, i registri degli incidenti sul lavoro, i dati contenuti negli archivi amministrativi di natura previdenziale, nonché i dati ambientali e territoriali derivati dall’applicazione di tecniche statistiche e modellistiche. La loro sinergia permette di integrare le informazioni disponibili, consentendo lo svolgimento di approfondimenti, altrimenti non possibili, in relazione a determinati ambiti epidemiologici (ambientale e/o occupazionale), scale spaziali (nazionali, urbane, rurali), temporali (cronici, acuti) e prendendo in considerazione anche le caratteristiche demografiche, gli stili di vita e il contesto sociale. In tale ottica nascono i progetti BEEP (“Big Data in Epidemiologia Ambientale e Occupazionale”) e BIGEPI (“Uso di BIG data per la valutazione degli Effetti sanitari acuti e cronici dell’inquinamento atmosferico nella Popolazione Italiana”), cofinanziati nell’ambito del Bando Ricerca in Collaborazione (BRiC), edizioni 2016 e 2019, dell’Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro (INAIL).

Questi progetti di ricerca hanno sviluppato esperienze fattuali di analisi epidemiologica che hanno reso possibile l’integrazione delle diverse componenti di rischio ambientali, occupazionali e individuali, con riferimento non solo ad aspetti metodologici, ma anche a interpretazione e analisi dei risultati. Il progetto BEEP ha permesso di migliorare le stime di esposizione agli inquinanti atmosferici (NO2, O3, PM2,5 e PM10), utilizzando modelli machine learning, modelli di dispersione e informazioni sulla mobilità della popolazione urbana, che hanno permesso di ottenere stime dell’esposizione a livello di indirizzo di residenza, a risoluzione sempre più fine (da 1 Km a 4 m).6-9 É stata mostrata un’associazione significativa fra mortalità per cause naturali e cardiovascolari e incrementi di esposizione cronica a NO2 e PM10, con effetti maggiori considerando l’esposizione a più elevata risoluzione.9 Sono emerse relazioni fra esposizione acuta a PM e ricoveri per cause respiratorie e cardiovascolari su tutto il territorio nazionale.10,11 Lo studio ha permesso di stimare come il rispetto dei valori di concentrazione di PM10 e PM2,5, raccomandati dall’OMS per la tutela della salute, avrebbe evitato rispettivamente circa 4.900 e 8.917 ricoveri per cause respiratorie10 e come gli effetti sulle malattie cardiovascolari fossero simili nelle zone più urbanizzate e in quelle meno urbanizzate.11 Infine, un’analisi condotta su un campione di popolazione generale di Pisa ha mostrato un aumentato rischio di ospedalizzazioni per cause cardiovascolari per incrementi di PM10, con effetti maggiori per l’esposizione a più elevata risoluzione.12 Nello stesso campione è emerso un rischio più elevato di insorgenza di rinite ed espettorato cronico per incrementi di esposizione a PM2,5 e di insorgenza di BPCO per incrementi di esposizione a PM10.13 Il progetto BIGEPI ha usufruito delle mappe di esposizione all’inquinamento atmosferico e alle temperature prodotte in BEEP per approfondire ulteriormente gli effetti sanitari dovuti all’esposizione ambientale. In particolare, i risultati pubblicati mostrano nuove associazioni fra mortalità per malattie nervose ed esposizione a PM e fra cause metaboliche ed esposizione a NO2.14 Le indagini su campioni di popolazione generale hanno permesso di valutare l’associazione fra esposizione a lungo termine a inquinamento atmosferico e morbosità, attraverso analisi con modelli a singolo inquinante e multi-inquinanti: rinite, asma e BPCO sono associati all’esposizione a PM10, PM2,5 e NO2, attacchi d’asma all’esposizione a O3 estivo.15,16

Questo supplemento presenta ulteriori risultati: impatto delle temperature calde e fredde sulla mortalità per causa; aumentata suscettibilità agli effetti acuti sulla mortalità per causa nelle popolazioni più esposte a livelli cronici di inquinanti industriali; nuove evidenze sull’associazione fra incidenza di eventi coronarici acuti ed esposizione cronica a O3 estivo. Inoltre, BIGEPI ha permesso di confrontare stime di mortalità ottenute utilizzando modelli di esposizione nazionali e locali, mostrando valori tendenzialmente più elevati all’aumentare della risoluzione spaziale del modello utilizzato.

Alcuni sviluppi dei progetti BEEP e BIGEPI, pubblicati sia su riviste internazionali sia su questo supplemento, hanno consentito di compiere passi avanti importanti nell’analisi complessiva dei determinanti di salute. L’analisi della componente occupazionale negli studi longitudinali metropolitani ha mostrato associazioni fra mortalità non-accidentale,17 respiratoria e diversi comparti lavorativi; l’analisi dell’impatto sugli infortuni sul lavoro dei cambiamenti climatici ha rilevato effetti significativi sia per il caldo sia per il freddo, con un numero di infortuni sul lavoro attribuibili a temperature al di sopra e al di sotto delle soglie stimato in 5.211 all’anno.18 Infine, le indagini su campioni di popolazione generale hanno mostrato che l’esposizione regolare a vapori, gas, polveri e fumi sul luogo di lavoro è associata a un incremento di bronchite cronica/BPCO e, nei soggetti che hanno riferito asma nella vita, a un peggior controllo dell’asma.

I risultati degli studi BEEP e BIGEPI hanno confermato le grandi potenzialità dell’uso dei big data e della collaborazione interdisciplinare e hanno fornito nuove e più aggiornate evidenze in ambito epidemiologico ambientale e occupazionale, stimolando nuovi indirizzi di ricerca scientifica e confermando la necessità di azioni di prevenzione in materia di qualità dell’aria e cambiamenti climatici per la salute della popolazione generale e dei lavoratori. 

Conflitti di interesse dichiarati: nessuno.

Bibliografia

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