Riassunto

«It is the time to close the book of infectious diseases». L’infelice affermazione, che si ritiene risalente al 1967 e che a lungo è stata impropriamente attribuita al Surgeon General statunitense William H. Stewart,1 celebrava i successi di antibiotici e vaccini, che avevano spazzato via le malattie infettive. Pur essendo oggi priva di paternità, la frase rifletteva comunque un diffuso sentire, che non avrebbe tardato a rivelarsi incauto. All’inizio degli anni Ottanta si apriva il capitolo dell’infezione da HIV, che nel 2000 Science avrebbe non solo collegato a diversi possibili fattori scatenanti nel centro Africa, ma anche retrodatato alla metà del Novecento.2 E la serie sarebbe continuata con SARS, H1N1, H5N1, Ebola, Mers e altre.

Mariachiara Tallacchini, filosofa del diritto, si occupa di rapporti tra scienza, diritto e democrazia, e ha scritto estesamente sul principio di precauzione e sugli approcci normativi ai rischi di zoonosi, in particolare per quanto riguarda xenotrapianto e terapie avanzate. A lei abbiamo chiesto come si risponde a una emergenza epidemica come quella in atto nel nostro paese armonizzando i diritti individuali e della comunità. Anticipiamo qui il testo dell'editoriale che verrà pubblicato prossimamente sulle pagine di Epidemiologia e Prevenzione.

Chiudere il libro delle malattie infettive?

«It is the time to close the book of infectious diseases». L’infelice affermazione, che si ritiene risalente al 1967 e che a lungo è stata impropriamente attribuita al Surgeon General statunitense William H. Stewart,1 celebrava i successi di antibiotici e vaccini, che avevano spazzato via (wipe out) le malattie infettive. Pur essendo oggi priva di paternità, la frase rifletteva comunque un diffuso sentire, che non avrebbe tardato a rivelarsi incauto. All’inizio degli anni Ottanta si apriva il capitolo dell’infezione da HIV, che nel 2000 Science avrebbe non solo collegato a diversi possibili fattori scatenanti nel centro Africa, ma anche retrodatato alla metà del Novecento.2 E la serie sarebbe continuata con SARS, H1N1, H5N1, Ebola, Mers e altre. In una ricerca del 2009, Jones et al.3 hanno documentato come tra il 1940 e il 2004 si siano in realtà palesate svariate centinaia di patologie infettive, con una netta maggioranza (60,3%) di infezioni di origine zoonotica (determinate da un passaggio di specie del microrganismo patogeno), il 71,8% delle quali originate in aree selvatiche.

Insieme al moltiplicarsi delle malattie infettive e alla loro rapida diffusione, a partire dai primi anni di questo secolo è cresciuta anche la consapevolezza che la predisposizione di misure sanitarie, di policy e giuridiche preventive e globalmente condivise fosse una priorità urgente.

Nel 2003, a margine della comparsa della SARS, l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) attribuiva al diffondersi dell’infezione il valore di un richiamo (wake-up call) con implicazioni che sarebbero andate ben oltre l’emergenza di quei giorni e che esigevano «la costruzione internazionale di fiducia e solidarietà».4

Nel 2005, in concomitanza con i timori generati dai casi di influenza aviaria, l’OMS pubblicava le International Health Regulations (IHR), le regole internazionali per limitare la diffusione di patologie infettive.5

Nel 2009, nel corso dell’epidemia di influenza suina, la National Academy of Science americana sottolineava il carattere crescente e imprevedibile delle epidemie che, in ragione delle dinamiche globali, potevano emergere ovunque e diventare rapidamente ubique; ed evidenziava con preoccupazione il pesante impatto economico (economic toll) che tali emergenze avrebbero prodotto.6

Pandethics, l’etica delle pandemie

Tuttavia, a fronte di un quadro certo sulle future, inevitabili sfide pandemiche, non solo in molti Paesi (tra cui il nostro) la predisposizione e implementazione di piani proattivi ed efficaci non ha avuto luogo, ma la stessa riflessione teorica sugli strumenti etico-giuridici è rimasta confinata in nicchie disciplinari. Nel 2009 il filosofo dell’epidemiologia Michael Selgelid introduceva il termine pandethics, l’etica delle pandemie (oggi meglio nota come infectious disease ethics), per sollevare i problemi morali e giuridici posti dalle malattie infettive. Nelle pandemie, infatti, il tradizionale paradigma bioetico di tutela dei diritti individuali del paziente viene messo in discussione. Poiché la persona esposta al possibile contagio è al tempo stesso “vittima” e “vettore” (victim and vector) dell’infezione, libertà e diritti individuali devono essere ridisegnati per ragioni di tutela della salute pubblica.7 Si tratta, quindi, di ripensare il significato dell’autonomia individuale come capacità di agire in modo relazionale, abbandonando l’idea che gli individui abbiano solo collegamenti accidentali con chi li circonda, e che la salute implica responsabilità condivise.

Ciò che emerge oggi con maggiore rilevanza rispetto a dieci anni fa è il valore di “condivisione” di taluni diritti. Si tratta, per esempio, della condivisione dei dati personali a fronte di un’emergenza collettiva – come ha riconosciuto il Garante italiano per la protezione dei dati personali approvando l’Ordinanza n. 630 (3 febbraio 2020), giudicata in linea con la Sezione 9 del GDPR, che legittima il trattamento di dati sensibili nell’interesse della salute pubblica.8

Selgelid lamentava soprattutto che i paradigmi dominanti della bioetica (ispirati al prevalere indiscusso dell’individuo sulla comunità – un comprensibile retaggio della Seconda Guerra Mondiale) avessero dedicato scarsissima attenzione alla salute pubblica e che un public health turn in etica abbia tardato molto ad emergere.9

Armonizzare diritti individuali e della comunità

Il tema del bilanciamento tra diritti individuali e collettivi nella diffusione di zoonosi, peraltro, era già emerso al volgere del nuovo millennio nella riflessione sulle tecnologie biomediche e, in particolare sullo xenotrapianto – l’uso di cellule, tessuti e organi tra specie diverse. A fronte dei progressi delle ricerche e delle sperimentazioni precliniche, numerosi documenti normativi nazionali (tra gli altri, Stati Uniti, Canada, Australia, Gran Bretagna) e internazionali (OMS, Consiglio d’Europa) si erano interrogati sui rischi di epidemie da zoonosi e sul possibile inserimento nel consenso informato di indicazioni precauzionali restrittive della libertà personale a tutela della collettività per chi avesse ricevuto un impianto di cellule o tessuti non-umani.10 Al contempo le medesime linee-guida, e infine la stessa OMS avevano insistito sul necessario coinvolgimento dei cittadini in condizioni di rischi condivisi.11 Peraltro, già nel 1996 il Nuffield Council of Ethics12 aveva evocato la rilevanza del “principio di precauzione” – il principio secondo cui rischi ipotetici e non quantificati sono valutati come rischi attuali13 – non solo rispetto alle questioni ambientali, ma anche ai rischi di trasmissione di zoonosi. Tali riflessioni, tuttavia, sono rimaste perlopiù confinate in settori specialistici, e le lezioni venute da lavori scientifici e di policy sulla necessità di predisporre agenzie dedicate, quadri di coordinamento tra conoscenze scientifiche affidabili e interventi istituzionali non hanno prodotto risultati uniformi.14

Prevedere, pianificare, coinvolgere e dialogare

A partire dai primi anni del Duemila l’ “incertezza certa” di possibili pandemie ha visto intrecciarsi due temi importanti. Il primo consiste nell’esigenza di previsione di situazioni di emergenza sanitaria in cui poter agire in base a piani già predisposti. Il secondo riguarda la crescente consapevolezza che policy unicamente fondate su repressione e autoritarismo, come pure contesti non-democratici in cui la conoscenza è prerogativa di poteri autoritari, non sono i più adeguati a controllare le emergenze. La coazione può servire ad assicurare la conformità dei comportamenti, ma non può costituire il valido fondamento per la costruzione del controllo scientifico e normativo delle emergenze. La condivisione delle conoscenze e dei comportamenti corretti e la collaborazione da parte dei cittadini sono infatti decisive per un’efficace contenimento delle infezioni, oltre a essere in linea con i diritti e la dignità che le società liberaldemocratiche pongono a proprio fondamento. Questa è una significativa differenza tra il cosiddetto modello cinese e l'agire delle liberaldemocrazie.
Il primo tema è internazionalmente noto come preparedness, spesso precisata come legal preparedness,15 per il fondamentale ruolo di coordinamento rivestito dalle regole nell’essere pronti di fronte alle emergenze.
Il secondo riguarda il coinvolgimento del pubblico nelle decisioni e nella implementazione di policy e norme, con la preparazione di specifiche competenze dei cittadini nell’utilizzo di informazioni e comportamenti science-based.

Le due questioni sono strettamente correlate, dal momento che la elaborazione di conoscenze e pratiche condivise, la costruzione accurata di un sapere concretamente utilizzabile e capacitante (empowering) per i cittadini, l’assimilazione progressiva in tempi non emergenziali dei corsi di azione corretti non solo gettano le basi per un contenimento diffuso e ordinato delle crisi, ma favoriscono anche la creazione e l’irrobustimento di rapporti di fiducia tra scienziati, cittadini e istituzioni.

Accuratezza

I comportamenti suggeriti dovrebbero essere forniti con accuratezza. Per esempio, la raccomandazione di lavarsi le mani dovrebbe includere i dettagli per maneggiare sifoni dell’acqua ed erogatori di sapone. Il CDC (Centers for Disease Control and Prevention) dedica un sito apposito (pre-esistente alla crisi attuale) alle tecniche per lavarsi le mani 16 e alla scienza ad esse sottesa,17 come pure ai piani di preparazione familiare per le emergenze (vedi APPROFONDIMENTO); l’immediatezza nel mettere in atto comportamenti adeguati di contenimento della trasmissione dell’infezione deve sedimentarsi nelle abitudini (come l’evitare abbracci o strette di mano); la conoscenza anticipata di percorsi di azioni corrette evita lo scivolamento nel panico perché mette in atto pratiche già acquisite, invece di mobilitare il reperimento affannoso di informazioni in condizioni di urgenza. Soprattutto, non si devono porgere le conoscenze scientifiche come “prodotti finiti”, che creano smarrimento e diventano inutilizzabili quando contengano elementi contradittori. Le nozioni science-based devono essere trasmesse insieme all’informazione sulle loro condizioni di affidabilità, alle metodologie e ai presupposti teorici che le fondano, al significato e alla rilevanza di modalità di calcolo differenti (per esempio, del computo dei casi): solo così continuità e discontinuità tra posizioni scientifiche che sembrano inconciliabili possono essere chiarificate e generare conoscenza abilitante invece che confusione.

Bidirezionalità

La fiducia nella scienza e nella policy ufficiali si costruisce attraverso relazioni comunicative bidirezionali strutturate e durevoli. Questa complessa rete di conoscenze e pratiche non può essere improvvisata, ma richiede tempo, esperienza, training, preparazione anticipata.18 Peraltro, una cultura del dialogo di science policy, vale a dire di come saperi e norme interagiscono tra loro, non può limitarsi ai momenti di emergenze, ma deve entrare nella “stoffa istituzionale” quotidiana dei rapporti tra cittadini, esperti e decisori politici.

Dalla sanità pubblica autoritaria a una cultura di salute e prevenzione partecipate e collaborative

Ma preparedness e coinvolgimento attivo dei cittadini sono anche collegati perché i due temi segnano il passaggio da una cultura della sanità pubblica autoritaria a una cultura di salute e prevenzione partecipate e collaborative. Nel 2008 Gainotti et al.19 analizzavano finemente l’eterogeneità delle culture di “salute pubblica” nei paesi europei, documentando le diuturne tendenze puramente repressive di numerosi ordinamenti a fronte di emergenze sanitarie; e Gainotti e Petrini20 ritornavano sul punto, proponendo una “cultura personalistica” della salute pubblica in linea con la centralità della persona nella nostra Costituzione. In Italia è a lungo esistita una “grande divisione” tra il primo e il secondo comma dell’Art.32 della Costituzione: il primo che costruisce la salute come diritto, il secondo che limita la libertà individuale qualora metta a rischio la salute collettiva – i cosiddetti trattamenti sanitari obbligatori. Tale divisione è stata parzialmente ricomposta, soprattutto per quanto concerne la gestione della salute mentale, con interpretazioni del secondo comma dell’Art.32 sempre più ispirate al primo.

Ma se l’armonizzazione tra salute individuale e collettiva rappresenta la chiave di volta di una sanità coerente con società liberaldemocratiche fondate sui diritti, essa esprime anche una visione epistemologicamente avanzata della buona gestione del sapere nelle “società della conoscenza”, le società che derivano i propri comportamenti da conoscenze validate e affidabili.

Ciò che Ravetz e Funtowicz hanno chiamato all’inizio degli anni Novanta “scienza post-normale”, vale a dire le condizioni in cui «i fatti sono incerti, i valori sono controversi, le poste in gioco sono alte e le decisioni urgenti»,21 non offre solo un sintetico prospetto dell’emergenza in corso, ma rivela soprattutto che la “post-normalità” è ormai la situazione “normale” e quotidiana di incertezza della vita in un mondo globalizzato. Il Center for Disease Control (CDC) statunitense evoca questa “normalità” dell’incertezza quando precisa, nelle Pandemic Preparedness Resources,22 che alla fase di alleviamento della pandemia potrebbe fare seguito una nuova fase di recrudescenza (second wave); e che, dunque, la preparazione a un’ulteriore epidemia deve essere costante e che le comunità devono disporre di strumenti per farlo.

Cambiare la paura in conoscenza

La trasformazione di emergenze e allarmi nella capacità di convivere con l’incertezza quotidiana è un efficace rimedio al temuto panico e alle risposte irrazionali, perché cambia la paura dell’inaspettato in esperienza, conoscenza, pratica creativa, visione solidale e responsabilità civica. L’educazione a percepire il diritto alla salute come un diritto individuale-e-condiviso attraverso una visione collaborativa della salute stessa è rimasta assente nella consapevolezza e cultura delle nostre istituzioni scientifiche e di policy – come hanno mostrato le recenti politiche sui vaccini.23 Il ruolo delle istituzioni è quindi decisivo nel far circolare e assorbire il senso del diritto alla salute come una responsabilità personale, condivisa e collaborativa. Da quando si è aperta l’emergenza del Coronavirus si è diffusa la pratica del cosiddetto “isolamento fiduciario”, vale a dire l’affidamento delle condizioni di minimizzazione di trasmissione del virus alla responsabilità dei diretti interessati: si tratta di un importante passaggio, che va nella giusta direzione di un rapporto solidale e sinergico tra cittadini e istituzioni.

I cittadini – che le culture tecnocratiche ancora tendono a caratterizzare come “pubblico ignorante e irrazionale” – sono attori fondamentali nella capacità di risposta alla crisi. La preparedness riguarda il coordinamento delle istituzioni e degli scienziati impegnati nelle policy o nelle misure operative, ma si rivolge e coinvolge individualmente e collettivamente i cittadini, che devono sapere come utilizzare e mettere in pratica al meglio le conoscenze legittimate come valide. Lavori scientifici ormai classici hanno documentato queste imprescindibili forme di collaborazione – come il ruolo svolto dalla comunità gay a San Francisco nel controllo dell’HIV24 – segnalandone ragioni epistemologiche e di buona policy.

Contro l’autoritarismo,25 ma anche contro la tecnocrazia – l’autoritarismo autoreferenziale della scienza – sta diventando evidente che le democrazie aperte al dialogo sulla conoscenza e sulle norme sono in definitiva meglio attrezzate al superamento delle crisi,26 perché più resilienti nella creazione di legami civici robusti.  

Una opportunità da non perdere per iniziare una cultura condivisa dell’incertezza

Da quando le patologie infettive hanno riaperto un “libro maldestramente chiuso”, sono state numerose le occasioni perse per attivare e testare efficacemente forme di apprendimento collettivo tra società, comunità scientifiche e istituzioni in situazioni di emergenza. L’incertezza scientifica, sociale e politica nella gestione dell’incertezza che sta percorrendo il mondo in questo momento – conoscenze parziali e incomplete, mancanza totale di conoscenza, letture molteplici e divergenti dei dati, scontro tra linguaggi e priorità diverse — non deve essere considerata solo allarmante. In Italia la preparedness non c’era e improvvisarla è complesso. Ma fondamentale è non perdere questa opportunità27 per iniziare una cultura condivisa dell’incertezza e dei modi per convivervi; per creare una comunità di cittadini che, insieme a scienziati e decisori politici, sappia fare un uso competente della conoscenza; e per riflettere sull’imprescindibile natura solidale di questa impresa.

Mariachiara Tallacchini si occupa da lungo tempo di rapporti tra scienza, diritto e democrazia, e ha scritto estesamente sul principio di precauzione e sugli approcci normativi ai rischi di zoonosi, in particolare per quanto riguarda xenotrapianto e terapie avanzate.

 

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Bibliografia e note

  1. L’affermazione è stata declassata a leggenda urbana, dopo la pubblicazione del lavoro di Spellberg B and Taylor-Blake B. On the exoneration of Dr. William H. Stewart: debunking an urban legend. Infectious Diseases of poverty 2013;2:3. Così anche Specter M. One of SciencÈs Most Famous Quotes Is False. The New Yorker 2015, January 5. Disponibile all’indirizzo: https://www.newyorker.com/tech/annals-of-technology/william-stewart-science-erroneous-quote (ultimo accesso: 2 marzo 2020).
  2. Hahn BH, Shaw GM, De Cock KM, Sharp PM. AIDS as a zoonosis: Scientific and public health implications. Science 2000;287(5453):607-14.
  3. Jones KE, Patel N, Levy M et al. Global trends in emerging infectious diseases. Nature 2008;451(7181):990-93.
  4. World Health Organization (WHO). Address by Dr Gro Harlem Brundtland Director-General to the Fifty-Sixth World Health Assembly, Geneva, Monday, 19 May 2003, A56/3. Disponibile all’indirizzo: https://apps.who.int/iris/bitstream/handle/10665/78203/ea563.pdf?sequence=1&isAllowed=y (ultimo accesso: 2 marzo 2020).
  5. World Health Organization (WHO). International health regulations, 2005, https://www.who.int/ihr/en/ (ultimo accesso: 6 marzo 2020), 1: «The purpose and scope of the IHR (2005) are “to prevent, protect against, control and provide a public health response to the international spread of disease in ways that are commensurate with and restricted to public health risks, and which avoid unnecessary interference with international traffic and trade”».
  6. National Academy of Sciences. Sustaining Global Surveillance and Response to Emerging Zoonotic Diseases. In: Keusch GT, Pappaioanou M, Gonzalez MC, Scott KA, Tsai P (eds). National Research Council 2009. Disponibile all’indirizzo: http://www.nap.edu/catalog/12625.htm (ultimo accesso: 5 marzo 2020).
  7. Selgelid MH. Pandethics. Public Health 2009;123:255-59; Francis LP, Battin MP, Jacobson J, Smith C. Syndromic Surveillance and Patients as Victims and Vectors. J Bioeth Inq 2009;6(2):187-95.
  8. Garante per la protezione dei dati personali. Parere sulla bozza di ordinanza recante disposizioni urgenti di protezione civile in relazione all’emergenza sul territorio nazionale relativo al rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili, 2 febbraio 2020, Registro dei provvedimenti n.15 del 2 febbraio 2020. Disponibile all’indirizzo: https://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/9265883# (ultimo accesso: 6 marzo 2020).
  9. Selgelid MH. Ethics and Infectious Disesases. Bioethics 2005;19(3):272-89.
  10. Per un’analisi dei differenti approcci nella regolazione dello xenotrapianto vedi Tallacchini M. Risks and rights in xenotransplantation. In: Jasanoff S (ed). Reframing Rights. Bioconstitutionalism in the Genetic Age, MIT Press, Cambridge MA 2011;170-92; Medical Technologies and EU Law:The Evolution of Regulatory Approaches and Governance. In: Cremona M (ed). New Technologies and EU Law. Oxford-New York, Oxford University Press, 2017; pp. 9-37.
  11. WHO. First WHO Global Consultation on Regulatory Requirements for Xenotransplantation Clinical Trials. The Changsha Communiqué, Changsha, China, 19-21 November 2008 https://www.who.int/transplantation/xeno/ChangshaCommunique.pdf?ua=1 (ultimo accesso: 5 marzo 2020).
  12. Nuffield Council on Bioethics. Animal-to-Human Transplants: the Ethics of Xenotransplantation. London 1996.
  13. Il Principio 15 della Declaration on Environment and Development del primo Summit dell’ONU di Rio de Janeiro (1992) così recita: «Where there are threats of serious or irreversible damage, lack of full scientific certainty shall not be used as a reason for postponing cost-effective measures to prevent environmental degradation». Vedi anche Tallacchini M. Before and beyond the precautionary principle: Epistemology of uncertainty in science and law. Toxicol Appl Pharmacol 2005;207(2 Suppl):645-51.
  14. Editorial. Lessons learned. Additional work is needed to prepare for the next pandemic viral outbreak. Nature Immunology 2009;10(11):1133.
  15. Proceedings of the First National Summit on Public Health Legal Preparedness. June, 2007. Atlanta, Georgia, USA. J Law Med Ethics 2008;Spring;36(1 Suppl):1-67. Il concetto di “legal preparedness” è qui definito: «The capability of the public health and health care systems, communities, and individuals, to prevent, protect against, quickly respond to, and recover from health emergencies, especially those whose scale, timing, or unpredictability threatens to overwhelm routine capabilities»(p.14).
  16. Centers for Disease Control and Prevention (CDC). When and How to Wash Your Hands. Handwashing: Clean Hands Save Lives. Disponibile all’indirizzo: https://www.cdc.gov/handwashing/when-how-handwashing.html (ultimo accesso: 5 marzo 2020). In Italia la necessità di informazioni accurate è stata sottolineata da Donzelli A. Coronavirus. Qualche consiglio in più per prevenire l’infezione. quotidianosanità.it, lunedì 27 gennaio 2020. Disponibile all’indirizzo: http://www.quotidianosanita.it/stampa_articolo.php?articolo_id=80672 (ultimo accesso: 5 marzo 2020).
  17. Centers for Disease Control and Prevention (CDC). Show Me the Science, https://www.cdc.gov/handwashing/show-me-the-science.html (ultimo accesso: 6 marzo 2020).
  18. La National Science Foundation (NSF) ha stanziato ai primi di marzo 2020 fondi per progetti di ricerca «to inform and educate about the science of virus transmission and prevention, and to encourage the development of processes and actions to address this global challenge». Letter on the Coronavirus Disease 2019 (COVID-19), NSF 20-052, March 4, 2020. Disponibile all’indirizzo: https://www.nsf.gov/pubs/2020/nsf20052/nsf20052.jsp?WT.mc_id=USNSF_80 (ultimo accesso: 5 marzo 2020)
  19. Gainotti S, Moran N, Petrini C, Shickle D. Ethical Models Underpinning Responses to Threats to Public Health: A Comparison of Aproaches to Communicable Disease Control in Europe. Bioethics 2008;22(9):466-76.
  20. Gainotti S, Petrini C. A personalist approach to public-health ethics, Bulletin of the World Health Organization 2008; August 86(8):624-29.
  21. Funtowicz SO, Ravetz JR. Science for the post-normal age. Futures 1993;25(7):739-55.
  22. Centers for Disease Control and Prevention (CDC). Pandemic Preparedness Resources. Disponibile all’indirizzo: https://www.cdc.gov/flu/pandemic-resources/planning-preparedness/index.html?CDC_AA_refVal=https%3A%2F%2Fwww.cdc.gov%2Fcoronavirus%2F2019-ncov%2Fphp%2Fpandemic-preparedness-resources.html (ultimo accesso: 5 marzo 2020).
  23. Tallacchini M. Vaccini, scienza, democrazia. Epidemiol Prev 2019;43(1):11-13.
  24. Epstein S. Impure Science. AIDS, Activism, and the Politics of Knowledge, University of California Press, Berkeley1998. Sull’approccio partecipativo alle epidemie; Stirling AC, Scoones I. From Risk Assessment to Knowledge Mapping: Science, Precaution, and Participation in Disease. Ecology and Society 2009,14(2):14. Disponibile all’indirizzo: http://www.ecologyandsociety.org/vol14/iss2/art14 (ultimo accesso: 4 marzo 2020).
  25. Tufekci Z. How the Coronavirus Revealed Authoritarianism’s Fatal Flaw. The Atlantic 2020;2. Disponibile all’indirizzo: https://www.theatlantic.com/technology/archive/2020/02/coronavirus-and-blindness-authoritarianism/606922/ (ultimo accesso: 4 marzo 2020). «If people are too afraid to talk, and if punishing people for “rumors” becomes the norm, a doctor punished for spreading news of a disease in one province becomes just another day, rather than an indication of impending crisis».
  26. Tallacchini M. Il “giusto posto” della scienza nella società: dalla “scienza come democrazia” alle “società democratiche della conoscenza”. In: Ostinelli M (ed). Modernità, scienza, democrazia. Roma,Carocci, 2020, in corso di pubblicazione.
  27. De Marchi B. Fare, comunicare, condividere. Rubrica: I rischi della comunicazione. Epidemiol Prev 2012;36(3-4):217-18.

 


 

APPROFONDIMENTO

Negli USA la guida Get Your Household Ready for Coronavirus Disease 2019 del Centers for Disease Control and Prevention (CDC) statunitense1 diffonde indicazioni accurate, precise, operative e dettagliate per aiutare le famiglie a predisporre piani utili ed efficienti nell’organizzazione della vita quotidiana in questo tempo di emergenza. La guida è stata prontamente pubblicata dopo che il 25 febbraio, in netto contrasto con i toni rassicuranti del Presidente Trump, il CDC aveva dichiarato che l’incertezza non riguardava “se”, ma solo “quando” l’epidemia di COVID-19 sarebbe arrivata negli Stati Uniti (“It's not a matter of «if» but «when» the new coronavirus, SARS-CoV-2, will spread in the United States”).2

La guida, che prevede il proprio aggiornamento continuo alle migliori conoscenze e pratiche che divengono man mano disponibili, fornisce indicazioni pratiche per aiutare famiglie e comunità a “prepararsi a rispondere” alla diffusione dell’epidemia nelle loro comunità. Le tre sezioni Plan, Act, Follow-up (pianifica, agisci, valuta a posteriori) offrono un completo piano di azione che spazia da chi includere nel piano al coinvolgimento dei vicini di casa, dall’identificazione dei soggetti più vulnerabili alla predisposizione di zone dedicate per l’eventuale isolamento di familiari contagiati, dalla disponibilità dei farmaci abitualmente assunti agli accordi per ricevere o fornire alimenti e servizi tra vicini di casa. La pianificazione include la pratica anticipata e immediata dei comportamenti da mettere in atto successivamente, così da aver già reso abituali gesti e attenzioni che l’improvvisazione e la mancanza di training possono rendere incerti o maldestri. Durante l’emergenza bisogna perseverare con le pratiche preventive senza abbassare la guardia, i sani devono prestare particolare attenzione alla cura della propria salute mentre si occupano di altri, si deve restare in contatto telefonico o digitale con altre persone e non si deve trascurare la salute emozionale di familiari e/o amici. Infine, dopo aver ricordato che un’emergenza epidemica può protrarsi a lungo, la guida invita al follow-up, vale a dire a una valutazione ex-post dell’efficacia del piano preventivo e di azione in vista di possibili recrudescenze dell’epidemia o di emergenze future.

 In Italia, negli ultimi giorni si sono moltiplicati consigli pratici e precisazioni che a vario titolo autorità sanitarie, politici ed esperti di settori diversi forniscono alla spicciolata nel corso di programmi televisivi o interviste scritte. Questo scenario frammentato, non sempre armonico, perlopiù incompleto e con gradi variabili di autorevolezza e affidabilità, certamente mostra che sta aumentando la consapevolezza che regole generali e astratte (DPCM 8 marzo 2020, Art.1,1: a) evitare ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita dai territori di cui al presente articolo, nonche' all'interno dei medesimi territori...)e prescrizioni tecniche di massima (lavarsi le mani) devono essere accompagnate dalla descrizione di che cosa fare e come fare nelle circostanze concrete. Tuttavia, è altrettanto chiaro che ancora manca la cultura istituzionale che provveda a rendere “normali” e sistematici questi esercizi di dialogo e di collaborazione tra istituzioni e cittadini.

È interessante interrogarsi sul perché questa cultura scientifico-istituzionale di trasmissione di conoscenze “abilitanti” nei confronti dei cittadini espressa dai molteplici documenti del CDC (e di molte altre agenzie federali americane) sia così radicata in un Paese, gli Stati Uniti, dove la salute non è costituzionalmente riconosciuta e tutelata come un diritto. E anche riflettere sul perché strumenti istituzionali così utili, pratici e capaci di rendere più omogenee, ragionevoli e condivise conoscenze e pratiche civiche abbiano finora stentato ad entrare nella nostra cultura.

Il discorso, complesso e così intimamente legato alla storia antropologico-culturale, istituzionale, giuridica e politica di un popolo e di un Paese, non può essere affrontato qui. Ma non è privo di senso indicare alcune direzioni di riflessione e approfondimento. Una prima ragione riguarda proprio la mancanza negli USA di un senso della salute come diritto esigibile nei confronti di istituzioni improntate a una visione di welfare. L’assenza di questa dimensione di tutela della salute come valore pubblico esige che alla società civile vengano forniti strumenti di empowerment individuale e comunitario per integrare, o almeno coadiuvare, competenze statali limitate. Una seconda ragione concerne poi l’abitudine nei Paesi con ordinamenti di civil law a pensare alla legge principalmente come fonte di regolazione generale e astratta, e non di indicazioni specifiche. Un terzo elemento tocca la tradizione e il ruolo di autorevolezza delle agenzie federali americane nell’elaborare norme e guide tecniche science-based che trasmettano ai cittadini le migliori conoscenze disponibili. Peraltro, questa autorevolezza istituzionale è stata acquisita anche attraverso il rispetto che tali agenzie hanno dimostrato nei confronti delle “capacità epistemiche” dei cittadini e della società civile: dalle consultazioni del pubblico sugli impatti delle nuove tecnologie avviate negli anni Settanta dall’Office of Technology Assessment3 al più recente ruolo riconosciuto alla citizen science. In proposito si può ricordare che in un ordine esecutivo del 2015, John Holdren – Chief-Scientist della Presidenza Obama e direttore dell’Office of Science and Technology Policy – sollecitava le agenzie federali statunitensi a predisporre gli strumenti di supporto ai progetti scientifici presentati dai cittadini. Oltre a riconoscere il valore metodologico della citizen science – vale a dire: competenza dei cittadini nel formulare e condurre esperimenti scientifici; capacità di raccogliere, analizzare e interpretare i risultati; abilità di fare nuove scoperte, sviluppare tecnologie e risolvere questioni complesse – Holdren ne sottolineava la funzione nel rafforzare la fiducia civica verso le istituzioni e nel rendere più efficaci ed efficienti le agenzie governative.4

Uno sforzo istituzionale e civico per la costruzione di credibilità delle conoscenze, di fiducia dei cittadini verso le istituzioni e di affidabilità dei comportamenti individuali, è possibile. E merita una riflessione dedicata: una via che gli epidemiologi italiani hanno già intrapreso.


 

Bibliografia

  1. Centers for Disease Control and Prevention (CDC). Get Your Household Ready for Coronavirus Disease 2019 Interim Guidance. https://www.cdc.gov/coronavirus/2019-ncov/community/home/get-yourhousehold-ready-for-COVID-19.html (ultimo accesso 9 marzo 2020).
  2. Nel briefing di Nancy Messonnier, direttore del National Center for Immunization and Respiratory Diseases del CDC. Vedi Saplakoglu Y.Will coronavirus spread in the US? It’s not ‘if’ but ‘when,’ CDC says, LiveScience 2020, February 26, https://www.livescience.com/coronavirus-spread-us-inevitable.html (ultimo accesso 10 marzo 2020).
  3. Coates J. Why public participation is essential in technology assessment, Public Administration Review 1975;35(1):67-69.
  4. Holdren J. Addressing Societal and Scientific Challenges through Citizen Science and Crowdsourcing – Memorandum to the Heads of Executive Departments and Agencies, Office of Science and Technology Policy, 2015, September 30, Washington D.C.

 

 

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