Riassunto

Ci ha lasciati la nostra collega Nora Frontali. Da sempre al lavoro per l’Istituto superiore di sanità, il grande livello di conoscenza raggiunto nello studio dei meccanismi di trasmissione del sistema nervoso e dei profili di neurotossicità degli insetticidi determinò nei primi anni Settanta un suo coinvolgimento nel tema della tutela della salute nei luoghi di lavoro e nell’ambiente in generale, contestualizzato nel momento storico (1968 e anni seguenti) che aveva rimesso in discussione finalità e procedure del processo produttivo.

Ci ha lasciati la nostra collega Nora Frontali. Da sempre al lavoro per l’Istituto superiore di sanità, il grande livello di conoscenza raggiunto nello studio dei meccanismi di trasmissione del sistema nervoso e dei profili di neurotossicità degli insetticidi determinò nei primi anni Settanta un suo coinvolgimento nel tema della tutela della salute nei luoghi di lavoro e nell’ambiente in generale, contestualizzato nel momento storico (1968 e anni seguenti) che aveva rimesso in discussione finalità e procedure del processo produttivo.

L’impegno di Nora era duplice: studio e approfondimento della patogenesi delle malattie da lavoro e partecipazione costante alle azioni volte a migliorare gli ambienti di lavoro che venivano portate avanti dai consigli di fabbrica e dal sindacato.

È in questo quadro che Nora assume la direzione del Laboratorio di igiene del lavoro dell’Istituto superiore di sanità. Fra i contributi principali di quegli anni troviamo studi per l’individuazione precoce di intossicazioni professionali di varie sostanze, sulla neurotossicità di solventi e collanti utilizzati nel settore calzaturiero e lavori sulla diossina, soprattutto in seguito all’incidente di Seveso. Nella sua concezione, tre aspetti andavano garantiti con il massimo rigore: la qualità del lavoro scientifico, inteso come produzione e pubblicazione di conoscenze originali; l’utilizzo compiuto delle evidenze scientifiche già disponibili attraverso un lavoro sistematico; la capacità di vedere in ogni contesto anche il quadro dei rapporti di forza che modellavano l’organizzazione del lavoro e le diseguaglianze contro le quali occorreva operare.

Un ulteriore merito di Nora in quel periodo fu l’apertura mentale che ebbe nei confronti dell’epidemiologia e, più in generale, degli studi osservazionali.

Il suo interesse per la bioetica emerso pubblicamente solo negli anni Novanta e sostenuto da un dialogo a distanza con la filosofa Caterina Botti, ricorda il suo impegno storico per la salute della donna. Attraverso i suoi scritti, Nora comunica un’etica laica, aperta, non dogmatica, attenta ai bisogni dei soggetti meno tutelati.

Biografia completa (a cura di Pietro Comba)

Nora Frontali nasce a Firenze nel 1925, e si laurea in medicina a Roma, presso l’Istituto di patologia generale dell’Università "La Sapienza", con il professor Massimo Aloisi; l’Istituto era allora diretto dal professor Guido Vernoni.

Se scorriamo le sue pubblicazioni scientifiche vediamo che i suoi primi lavori sui chetoacidi, cofirmati con Doriano Cavallini e Giovanni Toschi, vengono pubblicati su Nature nel 19491,2 e su Biochimica Biophysica Acta nel 1954.3

A partire dal 1955 si delinea un suo ampio ciclo di studi di neurobiochimica sull’attività colinesterasica, svolto presso il Laboratorio di parassitologia dell’Istituto superiore di sanità, inizialmente centrato sulla resistenza delle mosche al DDT,4 che ha prodotto una serie di sviluppi sulle colinesterasi in altri sistemi biologici, ma anche su altre attività enzimatiche, altri neurotrasmettitori, vari meccanismi biologici di resistenza agli insetticidi, dando luogo a numerosi e importanti progressi nell’ambito della neurobiologia, della parassitologia e della tossicologia, che sono documentati nelle sue pubblicazioni.

In questo quadro, ricordo in particolare il ciclo di studi sul meccanismo d’azione del veleno della vedova nera.5-7

Il grande livello di conoscenza raggiunto da Nora nello studio dei meccanismi di trasmissione del sistema nervoso e dei profili di neurotossicità degli insetticidi determinò nei primi anni Settanta un suo sempre maggiore coinvolgimento nel tema della tutela della salute nei luoghi di lavoro e nell’ambiente in generale. Il tutto va ovviamente contestualizzato nel momento storico (1968 e anni seguenti) che aveva rimesso in discussione finalità e procedure del processo produttivo. L’impegno di Nora era duplice: studio e approfondimento della patogenesi delle malattie da lavoro e partecipazione costante alle azioni volte a migliorare gli ambienti di lavoro che venivano portate avanti dai consigli di fabbrica e dal sindacato. Tale partecipazione, che implicava molto lavoro di formazione e informazione rivolto ai lavoratori e alle loro organizzazioni, riguardava in particolare l’area industriale della Tiburtina, costituita prevalentemente da fabbriche metalmeccaniche, e il polo chimico di Colleferro.

E' in questo quadro che Nora assume la direzione del Laboratorio di igiene del lavoro dell’Istituto superiore di sanità, istituito a seguito della riforma dell’Istituto del 1973.

Vorrei, a questo proposito, segnalare in particolare tre suoi contributi di quegli anni.

Il primo è lo studio pubblicato sul British Journal of Industrial Medicine nel 1978,8 in cui si illustrava un metodo definito quick and simple per la determinazione dei livelli ematici dell’acetilcolinesterasi e della butirrilcolinesterasi al fine di individuare precocemente le intossicazioni professionali da varie sostanze che risultavano essere inibitori di questi enzimi.

Il secondo, e probabilmente maggiore, contributo è il ciclo di studi che Nora ideò e portò avanti per circa quindici anni sulla neurotossicità dei solventi dei collanti utilizzati nel settore calzaturiero, in particolare del normal esano e del suo metabolita 2,5 – esandione;9,10 questo composto risultò peraltro responsabile anche di altri effetti avversi.11-13 Questo ciclo di studi fu ideato in risposta all’osservazione di un’epidemia di neuropatie fra le lavoratrici del settore calzaturiero, che operavano generalmente in nero, soprattutto in Campania e Toscana. Sulla base della sua altissima preparazione su questi temi, Nora volle affrontare l’epidemia individuando “il germe”, e va sottolineato che in questo sforzo, sostenuto dalla sua indignazione morale e politica per le condizioni di lavoro in cui queste donne lavoravano, non solo non ebbe il supporto della comunità scientifica “ufficiale”, ma anzi si trovò spesso isolata, se non ostacolata, da diversi esponenti del mondo accademico.

Il terzo contributo di quegli anni che vorrei ricordare è una rassegna bibliografica sulla diossina , pubblicata su Sapere e cofirmata da Giorgio Bignami e Romano Zito a pochi mesi dall’incidente di Seveso.14 L’incipit del lavoro è molto chiaro: «fino a pochi anni fa, a parte gli addetti ai lavori, solo élite di studenti e di ricercatori politicamente impegnati avevano sentito parlare della diossina e della sua estrema tossicità, perché sapevano dell’attentato alla vita delle popolazioni del Vietnam rappresentato dalla sua presenza come impurezza del defoliante 2, 4, 5 T che veniva irrorato a migliaia di tonnellate su immense aree di questo Paese. In realtà, prima ancora che i vietnamiti, a soffrire le conseguenze di questo diabolico ritrovato dell’industria chimica erano stati gli operai impegnati nella fabbricazione di vari composti cloro-organici: cloronaftaline, triclorofenolo, pentaclorofenolo. Fotografie di operai sfigurati dalla “cloracne” si trovano in abbondanza nella letteratura medica soprattutto tedesca degli anni Venti-Cinquanta».

Viene poi citato il caso dell’intossicazione di alcune decine di cavalli da corsa di un allevamento del Missouri, avvenuto nel 1971, in seguito all’uso accidentale di oli antipolvere contaminati da diossina. Da qui deriva il titolo dell’articolo, che cita il film di Sydney Pollack del 1969 in cui Jane Fonda è distrutta dalla celebre maratona di danza.

L’articolo, frutto di una dettagliatissima ricerca bibliografica, largamente fondata su articoli in tedesco (lingua ben conosciuta da Nora), consentì di confutare la teoria sostenuta dopo l’incidente di Seveso da diversi esperti, secondo la quale gli effetti tossici della diossina a quel tempo erano poco conosciuti. In realtà le cose importanti si sapevano, ma l’informazione non circolava.

Nelle “conclusioni difficili” dell’articolo, gli autori sottolineano che «non basta avanzare rapidamente sul terreno del controllo preventivo che renda meno probabile il verificarsi di incidenti come quelli di Seveso e Manfredonia e gli altri più sopra raccontati (una bella gamma di “meccaniche” diverse); ma occorre anche un’analisi sempre più stringente di cosa serve veramente alla gente (e non al capitale, o più in generale al Moloch della produzione per la produzione), per mirare al controllo dei mezzi e degli obiettivi della produzione, e attraverso questo processo allontanare a una a una le innumerevoli spade di Damocle che ancora per lungo tempo seguiteranno a pendere sulla nostra testa. Insomma si dovrà tornare in maniera rigorosa, non mistificata, a porre con chiarezza la domanda “quali rischi per quali benefici”, con il ruolo del tecnico allo stesso tempo indispensabile e subordinato rispetto ai soggetti che operano le scelte».

Questo era, in estrema sintesi, il fondamento scientifico e valoriale sul quale Nora basava il suo lavoro di Direttore del laboratorio di igiene del lavoro dell’Istituto superiore di sanità, che avrebbe in seguito dato vita insieme ad altri laboratori all’attuale Dipartimento ambiente e prevenzione primaria.

Nella sua concezione, tre aspetti andavano garantiti con il massimo rigore:

  1. la qualità del lavoro scientifico, inteso come produzione e pubblicazione di conoscenze originali;
  2. l’utilizzo compiuto delle evidenze scientifiche già disponibili per rispondere a un’amplissima serie di questioni che non richiedevano nuovi studi e ricerche, ma utilizzo ottimale delle conoscenze esistenti. Questa esigenza veniva perseguita attraverso un lavoro sistematico di lettura delle riviste e compilazione di schedine bibliografiche poi ordinate in una serie di classificatori. Per molti anni lo strumento resse, e fu alla base di molte attività dell’Istituto anche in collaborazione con il Centro ricerche e documentazione sui rischi e danni da lavoro costruito dal Sindacato CGIL-CISL-UIL, in particolare da Gastone Marri, con il quale Nora aveva uno stretto rapporto di collaborazione, di stima e di amicizia;
  3. la capacità, in ogni contesto, di vedere oltre al dato igienistico, medico, tossicologico ed epidemiologico, il quadro dei rapporti di forza che modellavano l’organizzazione del lavoro, e i differenziali di potere, di cultura, di diritti, di accesso all’informazione: in altre parole, le diseguaglianze contro le quali occorreva operare.

Un ulteriore merito di Nora in quel periodo fu l’apertura mentale che lei, radicata nella ricerca sperimentale, ebbe nei confronti dell’epidemiologia e, più in generale, degli studi osservazionali, non sperimentali, a livello di popolazione, che la portarono a promuovere in molti modi un approccio disciplinare che non era il suo, ma che lei comprendeva e sosteneva.

A conclusione di questa sintetica e inevitabilmente parziale analisi del contributo scientifico e professionale di Nora, vorrei citare il suo interesse per la bioetica, sicuramente presente da lunga data, ma che emerse in forme pubbliche nel corso degli anni Novanta, sostenuto anche da un dialogo a distanza con la filosofa Caterina Botti. Questo interesse di Nora era legato a un suo storico impegno per la salute della donna, sviluppato in collaborazione con numerose colleghe, e aveva portato già nel 1992 alla pubblicazione di La cicogna tecnologica,15 nella cui introduzione leggiamo una sintesi del pensiero di Nora sull’interazione fra scienza e società, dove si evidenzia «l’esigenza di non banalizzare o distorcere l’informazione e di comunicare la problematicità che è sempre insita nell’interpretazione di un dato scientifico, nella consapevolezza peraltro che per recuperare l’estraneità rispetto alla cultura scientifica è necessario non solo uno sforzo di semplicità e chiarezza da parte di chi scrive, ma anche una determinata volontà di capire e di non arenarsi di fronte alle prime difficoltà da parte di chi legge. Si tratta, in altri termini, di cercare un collegamento diretto fra chi fà e chi usa la ricerca, e di fornire ai lettori quegli strumenti critici che sono indispensabili per arrivare a formarsi un proprio giudizio».

Nello stesso testo, viene introdotto un altro punto centrale del pensiero di Nora, cioè la necessità di superare l’antinomia fra demonizzazione della scienza e sopravvalutazione della possibilità che la scienza risolva tutti i problemi umani.

E infine, in un articolo del 1998 scritto con Flavia Zucco e relativo ai problemi etici della procreazione medicalmente assistita,16 troviamo queste conclusioni definite “Conclusioni dal punto di vista di un’etica laica”:

«che la ricerca sia fatta secondo determinate norme, in centri ufficialmente abilitati, da personale con qualificazione e professionalità legalmente riconosciute; che si evitino tutte quelle pratiche che rischiano di recare danno alla salute della donna o di far nascere bambini con difetti o handicap; che la coppia sia preventivamente informata in modo approfondito e dettagliato del programma proposto».

Questi punti sono seguiti da alcune considerazioni sull’eticità di specifiche procedure della procreazione medicalmente assistita e si concludono con un commento che ritengo opportuno citare:

«parlando in generale della ricerca sulla PMA, vien fatto di confrontare l’impegno finanziario, di professionalità e di saperi profuso in questo settore con quello dedicato alle problematiche sanitarie a livello mondiale. L’enfasi che le PMA pongono sulla logica del “proprio figlio a ogni costo” fa riemergere l’antica idea del “sangue del proprio sangue”, dove questo viene sostituito dal più moderno DNA. Con tutto il rispetto per le esperienze individuali sofferte, ci pare che favorire il riemergere di questi antichi atteggiamenti culturali eserciti influenze negative su una società che dovrebbe invece essere più aperta e attenta alle relazioni con soggetti altri per etnia e cultura, e dovrebbe essere capace di affrontare i mali che ci affliggono con strumenti diversi da quelli puramente tecnologici».

Si tratta quindi di un’etica laica, aperta, non dogmatica, attenta ai bisogni dei soggetti meno tutelati.

Credo che l’attualità del pensiero e dell’opera di Nora siano chiare, davanti a noi, e possano costituire un patrimonio per le nuove generazioni.

Bibliografia

  1. Cavallini D, Frontali N, Toschi G. Determination of keto–acids by partition chromatography on filter–paper. Nature 1949;163(4145):568.
  2. Cavallini D, Frontali N, Toschi G. Keto-acid content of human blood and urine. Nature 1949;164(4175):792.
  3. Cavallini D, Frontali N. Quantitative determination of keto-acids by paper partition chromatography. Biochim Biophys Acta 1954;13(3):439-45.
  4. Frontali N. L’attività della colinesterasi in ceppi sensibili e in ceppi resistenti al DDT in Musca domestica L. Boll Soc It Biol Sper 1955;31(9-10):1312-4.
  5. Frontali N, Grasso A. Separation of three toxicologically different protein components from the venom of the spider Latrodectus tredecimguttatus. Arch Biochem Biophys 1964;106:213-8.
  6. Frontali N. Catecholamine-depleting effect of black widow spider venom in iris nerve fibres. Brain Res 1972;37(1):146-8.
  7. Frontali N, Ceccarelli B, Gorio A et al. Purification from black widow spider venom of a protein factor causing the depletion of synaptic vesicles at neuromuscular junctions. J Cell Biol 1976;68(3):462-79.
  8. Bellino M, Ficarra M, Frontali N et al. A quick and simple method for the routine determination of acetyl- and butyrylcholinesterase in blood. Br J Ind Med 1978;35(2):161-7.
  9. Frontali N, Amantini MC, Spagnolo A et al. Experimental neurotoxicity and urinary metabolites of the C5-C7 aliphatic hydrocarbons used as glue solvents in shoe manufacture. Clin Toxicol 1981;18(12):1357-67.
  10. Bastone A, Frontali N, Mallozzi C, Sbraccia M, Settimi L. Cholinesterases in blood plasma and tissues of rats treated with n-hexane or with its neurotoxic metabolite 2,5-hexanedione. Arch Toxicol 1987;61(2):138-44.
  11. De Martino C, Malorni W, Amantini MC, Scorza Bercellona P, Frontali N. Effects of respiratory treatment with N-hexane on rats testis morphology. I. A light microscopic study. Exp Mol Pathol 1987;46(2):199-216.
  12. Mallozzi C, Scorza G, Frontali N, Minetti M. 2,5-Hexanedione modifies skeletal proteins of the red blood cells and increases the binding of hemoglobin to the membrane. Biochem Pharmacol 1989;38(16):2703-11.
  13. Siracusa G, Bastone A, Sbraccia M et al. Effects of 2,5-hexanedione on the ovary and fertility. An experimental study in mice. Toxicology 1992;75(1):39-50.
  14. Bignami G, Frontali N, Zito R. Non si uccidono così anche i cavalli? Sapere 1976:67-79.
  15. Frontali N (ed.). La cicogna tecnologica. Roma, Edizioni Associate,1992, pp. 7-8.
  16. Frontali N, Zucco F. Problemi etici della ricerca sulla procreazione medico-assistita. Ann Ist Super Sanità 1998;34(2):213-9.
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