POST del BLOG Come sta la sanità? minuti di lettura
- 29/06/2018 10:27
Ma i ticket sono una soluzione?
Di ticket si spendono circa tre miliardi di € e sicuramente chi li paga non ha l’impressione di contribuire solo per un quarantesimo alla spesa sanitaria. Si pensava che il ticket servisse per ridurre le inappropriatezza ma si è dimostrato che non è vero. Il super ticket di 10€ ha incrementato il ricorso a prestazioni erogate da privati che chiedono un prezzo inferiore al ticket. Tutti i politici, chi più chi meno, hanno promesso l’eliminazione o per lo meno la riduzione dei ticket, ma poco o nulla si è fatto.
Ma a che servono i ticket? Solo a far cassa? O magari proprio a dar più convenienze alla sanità pagata di tasca propria? Si possono togliere? Non sarebbe meglio eliminarli? Sarebbe economicamente possibile? O si potrebbero comunque rendere più rispettosi dell’equità? Se in ogni caso sono e saranno una tassa sulla malattia, potremo farli diventare una tassa più equa? Che ne pensate? Che proposte fareste?
Io la penso così...
Oggi c’è chi promette di eliminarli, ma in passato ci sono state molte voci di aumento dei ticket in sanità; aumenti che taluni paventano limitati alle Regioni in disavanzo altri invece all'intero paese. Già ai tempi del ministro Tremonti fu previsto un raddoppio dei ticket, misura che poi durante il governo Letta, anche per intervento delle Regioni, fu evitato.
Una manovra finanziaria che prevedesse l'aumento dei ticket sarebbe una manovra non solo ingiusta, ma anche di esito improbabile e spesso economicamente non conveniente a meno che si voglia riformare l'intero meccanismo dando un ruolo maggiore alla progressività rispetto al reddito.
Sarebbe ingiusta sia perché graverebbe ancora una volta sui più deboli, cioè sui malati, sia perché in molti casi spingerebbe a preferire l'erogatore privato al servizio pubblico.
Sarebbe di esito improbabile se i ticket riguardassero i ricoveri o, in misura superiore all'attuale. i farmaci. Il problema dei ticket sui ricoveri è un problema di esigibilità; non potendo rifiutare un ricovero se prima non si sia pagato il ticket è molto probabile che molti non lo pagherebbero alla dimissione così innescando un contenzioso costoso sia sul piano economico sia sul piano del consenso. Per i farmaci un aumento importante dei ticket porterebbe quasi sicuramente ad una rinuncia all'acquisto con un conseguente aggravamento delle patologie e quindi ad un aumento dei costi necessari per la loro assistenza.
Un aumento dei ticket sulle prestazioni di assistenza specialistica, che già oggi sono di notevole entità, renderebbero ancor più l’accesso al servizio sanitario nazionale non competitivo rispetto ai servizi privati che offrono la stessa prestazione ad un prezzo spesso inferiore all’ammontare del ticket.
Aumentare linearmente i ticket o estenderli a tutta l’assistenza sanitaria è una manovra che può essere valutata con certezza come razionalmente improponibile; se si vuole cercare di ridurre la carenza di risorse economiche per la sanità allargando il copayment allora è necessario ripensare a tutto il sistema.
Il criterio base deve allora diventare la progressività dell’entità del ticket rispetto alle capacità contributive dell’utente eliminando l’attuale soglia fissa di reddito. L’ammontare del ticket inoltre non deve mai essere superiore ad una quota del valore di mercato della prestazione, ad esempio il 50%, per evitare che l’offerta privata risulti più competitiva.
Un cambiamento più “doloroso” invece dovrebbe essere la modifica delle esenzioni per patologia che appaiono in molti casi non proprio eque: perché il benestante con una patologia esente non deve pagare il ticket mentre un non benestante con una patologia non esente lo deve pagare? L’unica vera ragione dell’esenzione per patologia non è la commiserazione per la situazione di malattia bensì è la considerazione del numero di prestazioni di cui il malato potrebbe aver bisogno e quindi il probabile sommarsi nell’anno di una cifra insostenibile dovuta alla somma di molti ticket.
Si consideri inoltre che l’esenzione per patologia non considera la fase più delicata, quella diagnostica e può invece causare ritardi di accesso alle prestazioni che non solo possono determinare un peggioramento della salute ma anche un aggravio economico dep dover intervenire in fasi più avanzate della malattia.
Se si aboliscono le esenzioni per patologia si potranno allora introdurre due correttivi: il primo consiste nel tetto massimo di ticket esigibili nei 12 mesi oltre il quale vi deve essere l’esenzione temporanea; il secondo è la riduzione del valore del reddito famigliare in ragione della stima dell’ammontare delle spesa sanitarie e sociali che il paziente malato deve già sostenere di tasca propria.
In ogni caso è opportuno chiedersi se non sia meglio allora prevedere una forma di contributo annuo di “iscrizione” al SSN: se si ritenesse di aver bisogno di raccogliere cinque miliardi dal copayment (cioè il doppio dei ticket oggi riscossi) non è forse meglio abolire i ticket e chiedere il versamento, mediamente, di un contributo di “iscrizione” in media non superiore a 100€? Dopotutto è ciò che si fa con il canone Rai, anche se questo è per famiglia mentre per la sanità sarebbe a testa. Il contributo in media di cento euro dovrebbe poi naturalmente esser modulato proporzionalmente alle possibilità contributive dei soggetti, e così graverebbe su tutti indistintamente, sani e malati, e proporzionalmente alle capacità contributive e indipendentemente dalle categorie nosologiche.
Si ragioni bene sui ticket perché dei provvedimenti errati possono comportare conseguenze spiacevoli non solo per i pazienti che devono pagarli ma anche per il consenso nei confronti di un governo che talvolta sembra non considerare con sufficiente prudenza il fatto che ridurre considerevolmente la gratuità dell’assistenza può innescare forti reazioni nella popolazione.
Commenti: 2
1.
Ragioniamo senza pregiudizi e senso della realtà
Il regime delle compartecipazioni è attualmente iniquo ed inefficace. La distanza tra quanto paga un esente rispetto ad un non esente è eccessiva e crea un ostacolo alla domanda di assistenza specialistica ambulatoriale e diagnostica extra-ospedaliera per i non esenti. Non è un caso che proprio questa assistenza sia tendenzialmente pro-ricchi secondo uno degli studi più seri fatti in Italia sull'equità nell'acesso ai servizi sanitari (Glorioso e Subramanian, 2014). Il regime delle compartecipazioni è anche inefficiente perchè è mirato ai servizi con maggiore elsticità al prezzo, specialistica e farmaceutica appunto. Il prezzo modera la domanda, ma non è per niente detto che questa moderazione riguardi i servizi meno efficaci. Anzi.
D'altra parte è esiziale che il Ssn riceva risorse aggiuntive. Il first best sarebbe usare la tassazione generale ma se, per motivi vari, questo non è possibile, occorre avere il coraggio di fare proposte in grado di mettere fine alle politiche di sottofinanziamento del Ssn, che nel lungo andare ne minano il funzionamento e il sostegno da parte della popolazione.
Mi azzardo a proporre una compartecipazione ai costi ospedalieri, da presentare come un contributo alle spese alberghiere, ad esempio di 15 Euro al giorno. Porterebbe un ricavo di quasi 1 miliardo, non poca cosa nella situazione attuale.
I ricoveri sono un servizio sanitario con domanda inelastica. Non penso proprio che si ridurrebbe il numero di ricoveri se si introducesse tale compartecipazione; forse si avrebbe un effetto sulla durata della degenza, probabilmente anche ausipicabile. Sul piano dell'equità, ritengo accettabile che tutti paghino 15 euro al giorno per coprire costi di "vitto e alloggio" necessari per erogare servizi sanitari che hanno costi superiori di almeno 20 volte. E' probabilmente una misura sostenibile anche per le fasce con reddito più basso e in fondo il Ssn è chiamato a fornire assistenza sanitaria, non altro. Faccio un parallelo, riteniamo normale che si paghi il costo della mensa per i bambini delle scuole dell'obbligo che frequentano il tempo pieno. I comuni hanno disegnato sistemi di esenzione e graduazione dei pagamanti, ma il principio generale è che le famiglie contribuiscano; lo Stato copre i costi di funzionamento della scuola ma non dei pasti, anche quando necessari per usfruire dei servizi scolastici. Perchè un ragionamento simile non dovrebbe valere anche per i pazienti ospedalieri.
Sparatami a vista ma sappiate che, ripeto, come prima opzione sarei favorevole ad un aumento del finanziamento del Ssn tramite la tassazione generale. Ma piuttosto che vedere il sistema depauperarsi lentamente preferisco dedicarmi al difficile compito di proporre strategie alternative per fare arrivare un po' di ossigeno al Ssn, ai suoi dipendenti e ai suoi fornitori.
Riferimenti bibliorafici
Glorioso V, Subramanian SV. Equity in Access to Health Care Services in Italy. Health Services Research. 2014;49(3):950-970. doi:10.1111/1475-6773.12128.
2.
Ideologia e politiche di compartecipazione alla spesa
Nonostante l'enorme quantità di pubblicazioni che dimostrano l'inefficacia delle diverse forme di compartecipazione alla spesa come strumento di contenimento di prestazioni sanitarie inutili e/o dannose la discussione viene dirottata su come modulare e/o modificare lo strumento e non sulla sua eliminazione.
In una recente pubblicazione, l'OMS ribadisce che il " ... co-payments are an ineffective way to contain health system costs and actually risk increasing them, as those in need of care tend to put off presenting with symptoms until an advanced stage when the costs of treatment are likely to be higher".
Il riproporre questo strumento, definito da alcuni "zombie policy" per la sua capacità di rinascere e di non rassegnarsi al decesso, rafforza il primato dell'ideologia sull'evidenza.
Molto meglio abbandonare definitivamente la discussione sui ticket e sulle diverse modalità con cui implementarli e aprire invece il dibattito sulle modalità di finanziamento dei sistemi sanitarie e sulla loro sostenibilità economica.
https://blogs.bmj.com/bmj/2018/07/17/co-payments-in-healthcare-politics-masquerading-as-economics/