Riassunto

Pubblichiamo le osservazioni di alcuni epidemiologi e di soggetti coinvolti a vario titolo nelle indagini sul funzionamento dell’impianto siderurgico di Taranto; altre riflessioni verranno pubblicate in seguito. Invitiamo i lettori a lasciare brevi commenti sul sito.

ILVA di Taranto: comunicato stampa AIE
12/08/2012

La deflagrazione dei diritti
di Eugenio Paci, Direttore scientifico di E&P, Ispo, Firenze

La perizia epidemiologica è stata prudente, ma i risultati parlano chiaro
di Benedetto Terracini, professore di Epidemiologia dei Tumori (ora in pensione), Università di Torino
Consulente Tecnico di parte all’incidente probatorio (comune di Taranto)

Affidabilità delle perizie e comportamento dell’Azienda
di Maria Angela Vigotti, Università di Pisa
Consulente Tecnico di parte all’incidente probatorio (comune di Taranto)

Taranto, la Costituzione e il ricatto occupazionale
di Emilio Gianicolo, Istituto di fisiologia clinica del CNR , Consulente tecnico di parte (Allevatori)

ILVA di Taranto: un’altra tragedia annunciata
di Laura D’Amico, Avvocato di parte civile al Processo Eternit di Torino

Taranto: senza le associazioni avremmo continuato a mangiare e respirare diossina nel silenzio più totale e adesso si rischia che tutto torni come prima!
di Maurizio Portaluri, primario radioncologo, Ass. Salute Pubblica, Brindisi

La parola ai lavoratori
Intervista a Donato Stefanelli, segretario della FIOM di Taranto, tratta dal GR di Radio Popolare Network del 2 agosto 2012 ore 7.29.

La voce delle donne del quartiere Tamburi
Video dallo speciale di Repubblica TV dedicato all'ILVA di Taranto

Ambiente, salute, lavoro e responsabilità
di Fabrizio Bianchi, IFC-CNR Pisa

Conoscenze scientifiche e gestione del rischio
di Giuseppe Costa, Dipartimento di scienze cliniche e biologiche, Università di Torino

L'epidemiologia deve entrare nella governance ambientale ordinaria
di Giorgio Assennato, direttore ARPA Puglia e Lucia Bisceglia, ARES Puglia


La deflagrazione dei diritti

 

Eugenio Paci, Direttore scientifico di E&P, Ispo, Firenze

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Quanto accade a Taranto, dove l’iniziativa della magistratura per l’insostenibilità della situazione ambientale ha portato al sequestro parziale dello stabilimento siderurgico è il vero naufragio italiano, terribilmente reale, non metaforico, frutto di  anni di abbandono, collusioni, incapacità e illegalità. Epidemiologia & Prevenzione è nata quaranta anni fa dalla consapevolezza che diritto al lavoro e diritto alla salute non possono e non devono, anche costituzionalmente, essere alternativi.

Nelle forme di oggi, più consapevoli dell’impatto ambientale oltre che di quello sulla salute dei lavoratori, vi è solo una risposta possibile: ripartire dall’indispensabile compresenza di questi diritti. È evidente che non può essere la magistratura a risolvere i problemi, ma sta al governo nazionale e locale proporre soluzioni che avviino da  subito iniziative per uscire da questa terribile e incivile contrapposizione e che abbiano ugualmente presenti, da subito, i diritti costituzionali.

Il momento è difficile in tutta Italia, ma forse è soprattutto a Taranto che si deve dimostrare se ci sono le energie e la capacità di cambiare. La responsabilità di questo stato di cose, al di là di quelle giudiziarie, ci riguarda tutti, specchio di una grave sofferenza del nostro paese ed in particolare del Sud Italia.  Gli epidemiologi italiani contribuiscono a documentare i danni e i rischi, ma questo non può bastare. Il riconoscimento del diritto al lavoro richiede rispetto dell’ambiente e attenzione alla salute a tutti i livelli, un rispetto che in Italia, non solo a Taranto, a volte non c’è, come dimostra il recente scandaloso irrisorio risarcimento che Inail ha riconosciuto a un giovane precario, morto sul lavoro.


La perizia epidemiologica è stata prudente, ma i risultati parlano chiaro

 

Benedetto Terracini
professore di Epidemiologia dei Tumori (ora in pensione), Università di Torino
Consulente Tecnico di parte all’incidente probatorio (comune di Taranto)

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Lo studio epidemiologico effettuato per rispondere ai quesiti  del GIP è stato condotto con rigore metodologico e le inferenze si basano su dati verificabili. Federacciai ha comprato  pagine intere dei principali giornali italiani a difesa dell’ILVA affermando – tra l’altro – che i risultati della perizia epidemiologica sono “opinabili”. Tuttavia, durante l’incidente probatorio in tribunale, il 30 marzo,  i suoi periti si sono ben guardati dal sottostare ad un confronto diretto con i consulenti del GIP sulla attendibilità della stima di morti e malati  attribuibili alle emissioni dell’ILVA.   Nelle stesse pagine a pagamento,  l’unico riferimento alla salute è l’affermazione che l’azienda si sarebbe adeguata  “alle sempre nuove migliori tecnologie per la tutela della salute”.  Una affermazione  che apparentemente richiama il messaggio  lasciato trentacinque anni fa da Giulio Alfredo Maccacaro – fondatore di “Epidemiologia & Prevenzione” – secondo cui la prevenzione delle malattie inizia dall’impiantistica. Ma è anche una affermazione difficilmente conciliabile  con i  risultati delle indagini dell’autorità giudiziaria e dello studio dei consulenti del GIP. 

I consulenti del GIP sono stati prudenti nella loro stima del  numero di morti e malati attribuibili all’ILVA, in quanto – per stimare il numero di casi in eccesso – hanno dovuto ipotizzare che  concentrazioni di PM10 inferiori a   20 microgrammi al m3– siano prive di effetti sanitari a breve termine, mentre tale valore è semplicemente un realistico obbiettivo enunciato  dalla Organizzazione Mondiale della Sanità, al di sotto del quale le esposizioni sono tutt’altro che innocue  (la soglia di 40  microgrammi/m3 di PM10  prevista dalla normativa europea vigente e richiamata dai periti dell’ILVA prescinde dalle nozioni sugli effetti sulla salute e ha  suscitato aspre critiche da parte del milieu scientifico).

È del 1956 il Decreto 303 del Presidente della Repubblica che imponeva ai datori di lavoro la responsabilità di proteggere i lavoratori alle loro dipendenze dai rischi lavorativi di ogni genere e di informarli in proposito. Non pare proprio che questo sia avvenuto all’ILVA in modo sufficiente.

La questione cruciale, ora, è l’elaborazione di un programma realistico di bonifica, compatibile con la conservazione dei posti di lavoro, attuabile con la massima rapidità e trasparenza. 

 


Affidabilità delle perizie e comportamento dell’Azienda

Maria Angela VigottiMaria Angela Vigotti, Università di Pisa
Consulente Tecnico di parte
all’incidente probatorio (comune di Taranto)

Sono stata consulente di parte del Comune di Taranto, conosco da anni la situazione ambientale di quella città e ho potuto leggere interamente la perizia epidemiologica. Si tratta di uno studio sugli effetti a breve termine e uno studio di coorte di popolazione, costruita dai dati anagrafici.  A mio giudizio, gli studi condotti sono di notevole qualità, sono stati impostati con notevole rigore e in modo conservativo. I risultati sono importanti e hanno messo chiaramente in rilievo i danni per la salute della popolazione. 

Lo studio sugli effetti a breve termine è conservativo per diverse ragioni:

  • per la costruzione dei dati giornalieri di inquinamento in cui sono state usate le mediane, per evitare di includere i massimi e i minimi, quindi in parte sottostimando l’esposizione;
  • le analisi sono suddivise per quartiere con riferimento la città, un riferimento esterno avrebbe verosimilmente fornito risultati più elevati;
  • per i quartieri sono stati usati i valori di esposizione di tutta la città, l’applicazione della esposizione puntuale avrebbe reso ancora più elevati gli effetti;
  • si è tenuto conto dei fattori sociali e che i quartieri subiscono in ogni caso  un livello medio di inquinamento che interessa tutta la città.

Pur in presenza delle scelte conservative brevemente descritte, emergono risultati molto importanti. Lo studio sulla coorte di popolazione è una notevole novità per l’epidemiologia, ed è stato realizzato grazie alla disponibilità di tutti i dati necessari: anagrafe comunale storica, flussi sanitari, elenco dei lavoratori, flussi Inps per la storia lavorativa etc. Dati disponibili solo perché richiesti dagli epidemiologi nell’ambito di un’inchiesta giudiziaria, ma spesso inaccessibili agli stessi epidemiologi nel corso della loro normale attività di ricerca, che immancabilmente si trova a combattere gli ostacoli che i vari enti e soggetti frappongono ricorrendo alle  norme sulla privacy. Quello svolto a Taranto è di fatto uno studio esemplare che spero venga reso pubblico e poi replicato in altre realtà. Dimostra, tra l’altro, che non serve aspettare di avere un registro tumori per  capire le criticità sanitarie di una popolazione. La quantità e qualità dei flussi  di dati esistenti in Italia permetterebbe, se disponibile agli epidemiologi, di dire molto più di quanto a fatica si riesce normalmente a fare.

Fino a ieri molto è stato detto sull’inquinamento di Taranto dovuto all’industria, confermato dalla perizia dei chimici, meno è stato possibile dire sulla situazione sanitaria della popolazione, ma gli studi dell’OMS sulla mortalità nei siti italiani inquinati, i risultati del Progetto Sentieri e la mia analisi su Taranto nel periodo 1970-2004 denunciavano una situazione molto critica. La mortalità per patologie respiratorie dagli anni ’80 supera quella regionale anche nelle donne: un primo minimo, se pur molto parziale, intervento immediato di risanamento con la copertura dei parchi minerari verosimilmente permetterebbe  di non continuare a respirare quella odiosa polvere dispersa dal vento, vento che se da una parte aiuta la città a sopravvivere dall’altra fa sì che abbia un alto tasso di ricoveri per BPCO in età inferiore ai 50 anni e che a un bambino sia stato diagnosticata una malattia da fumatore incallito.

Come ha reagito l’industria ai risultati delle perizie? Con una campagna mediatica e non seriamente scientifica. Con una controperizia che non è mai stata depositata e quindi discussa, come riferiscono anche i giornali, con una serie di convegni organizzati dall’Azienda presso il Centro Studi Ilva in cui gli invitati cercano di dimostrare che i risultati degli studi sulla relazione tra inquinamento ambientale e salute sono deboli, nonostante l’enorme quantità di evidenze cumulate negli ultimi trent’anni. In uno di questi convegni si fanno affermazioni sorprendenti, per esempio si afferma che la curva dose-risposta che emerge dagli studi sugli effetti acuti non è plausibile: “Ce lo ha detto Paracelso che la dose fa il veleno”. Quindi se ne può dedurre che fumare poche sigarette al giorno o respirare un po’ di particolato non arreca danno. Gli illustri ricercatori stranieri  invitati a un altro di questi convegni fanno tutti parte di una società di consulenza scientifica e ingegneristica, la  Exponent, il cui obiettivo, riportato sul sito, è quello di “fornire ai nostri clienti le informazioni critiche richieste per le decisioni”. Nonostante il taglio più scientifico di queste relazioni il tono di informazione di parte emerge con chiarezza.

Concludo con una domanda, non mia, che riporto sempre come ultima diapositiva nelle presentazioni riguardanti salute e inquinamento nella città di Taranto: a fronte di quale beneficio in termini di qualità della vita i tarantini dovranno continuare a vivere nella “città necessaria” ?

Immagine tratta da wiki Commons File: Taranto-Aerial_view-2.jpg Italiano: Taranto (Puglia, Italia) dall'aereo. Autore: Kadellar. File licenziato in base ai termini delle licenze Creative Commons Attribuzione.

 


Taranto, la Costituzione e il ricatto occupazionale

Emilio Gianicolo, Istituto di fisiologia clinica del CNR , Consulente tecnico di parte (Allevatori)

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Nel 2010, oltre 4 mila tonnellate di polveri emesse dai camini; 1,3 tonnellate di benzene; 338 kg di IPA. E poi, diossina e PCB rinvenuti negli animali abbattuti e più in generale nelle varie matrici ambientali analizzate la cui presenza “si può ricondurre all’attività aziendale di ILVA s.p.a.”. E che hanno generato:

  • un aumento del 2% nella frequenza di decessi per tutte le cause per i residenti a Taranto esposti a una concentrazione di PM10 di origine industriale pari a 10 microgrammi/m3;
  • un aumento del 9% di decessi per eventi coronarici acuti;
  • un aumento dell’8% di ricoveri ospedalieri per infezioni acute delle vie respiratorie;
  • un aumento rispettivamente del 9% e del 25% di ricoveri per malattie dell’apparato respiratorio e per tumori maligni tra i bambini e le bambine con meno di 14 anni (rispettivamente 638 e 17 casi attribuibili);
  • un aumento del 20% di gravidanze con esito abortivo tra le donne residenti ai Tamburi, quartiere distante poche centinaia di metri dall’acciaieria,

dove i periti nel periodo 2004-2010 hanno stimato

  • 91 decessi attribuibili ai superamenti del limite OMS;
  • 160 ricoveri per malattie cardiache e
  • 219 per malattie respiratorie.

Questo dice la scienza. Questo è quanto autorevoli studiosi hanno riportato nelle loro perizie, sulla base di metodologie al contempo consolidate ed avanzate.

Evidenza scientifica, diritto alla salute, diritto al lavoro

A poche ore dal provvedimento di sequestro degli impianti Ilva, tuttavia, il tema del giorno non è più tanto la forza dell’evidenza scientifica che ha portato a tale provvedimento, quanto la considerazione se il diritto alla salute si possa conciliare con il diritto al lavoro.

A tal proposito, bene scrisse il Procuratore capo di Taranto, dott. Francesco Sebastio, in una sua missiva indirizzata a Comune Provincia Regione e Ministero dell’ambiente:

«Nella nostra Costituzione c'è un solo diritto che, non solo ha valore assoluto, ma non accetta il minimo contemperamento anche in presenza di altri diritti tutelati dalla Carta, ed è il diritto alla vita, ovvero alla salute». Il procuratore capo chiosava la sua garbata e quanto mai opportuna missiva chiedendo alle autorità destinatarie della comunicazione di «voler informare con la massima urgenza questa Procura delle iniziative che i soggetti interessati di questa comunicazione riterranno di adottare nell’ambito delle rispettive competenze». 

Non mi risulta che alcuno dei destinatari di questa missiva abbia mai ufficialmente risposto.

Il mio parere è che nemmeno a Taranto la salute possa essere negoziata.

Soprattutto a Taranto, la città dei due mari. Soprattutto a Taranto, la città del rosso e del blu.

Il blu del mare, seriamente contaminato, e ormai sopraffatto dal rosso delle polveri dell’acciaieria che hanno lordato finanche le tombe dei cimiteri.

A Taranto deve valere il diritto alla salute così come sancito dall’articolo 32 della Costituzione e deve valere l’articolo 41 della carta costituzionale per il quale l’iniziativa economica privata è libera ma “non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.” 

Ritengo, infine, che nel complesso dramma della vicenda Ilva che si è protratta per tanto, troppo tempo, confluisca il dramma dei lavoratori che, fuori dalle alte considerazioni scientifiche e dalle alte considerazioni di Diritto, soffrono sulla loro pelle e su quella dei loro familiari la condizione di candidati all’incertezza e alla precarietà economica.

Cosa fare dunque?

La risposta non può essere che una sola: abbattere le barriere che il più forte ha costruito per dividere coloro che giustamente e strategicamente si battono per un ambiente sano da coloro che il ricatto occupazionale costringe  ad una visione di breve termine; una visione quest’ultima che, pur giustificata da esigenze immediate di sopravvivenza, non può fare altro che perpetuare il sacrificio di salute sicurezza libertà e dignità umana sull’altare del profitto del più forte.

 


ILVA di Taranto: un’altra tragedia annunciata

Laura D’Amico, Avvocato di parte civile al Processo Eternit di Torino

Le recentissime vicende giudiziarie relative allo stabilimento ILVA di Taranto, per quanto s’è sinora potuto apprendere dalle informazioni giornalistiche, pongono in luce una situazione che, innanzitutto dal punto di vista giuridico, appare di estrema gravità.

Decenni di impiego di sostanze altamente tossiche per le persone (cittadini e lavoratori), per l’ambiente nell’assenza di precauzioni adeguate.

L’esistenza da molti decenni di una legislazione che sia con riferimento alla sicurezza negli ambienti di lavoro, che con riferimento alla tutela ambientale pone specifici obblighi giuridici la violazione dei quali costituisce reato.

Pubbliche Autorità ed Organi di Vigilanza da gran tempo raggiunti da segnalazioni e/o denunce che, a quanto è dato sapere, non hanno a tutt’oggi adottato interventi di tutela e coercitivi, quali quelli che ben avrebbero potuto, e dovuto, essere posti in essere nel rispetto della legge. Il permanere, specie negli ultimi anni, di sempre più preoccupate segnalazioni sui danni all’ambiente e sui gravi, quando non gravissimi danni alle persone, segnalazioni rimaste sostanzialmente inascoltate. Un’imprenditoria che per decenni ha spudoratamente violato la legge penale del lavoro che, sol che osservata, avrebbe consentito di evitare un così grave inquinamento sia interno che esterno all’azienda, avrebbe consentito di evitare il manifestarsi di lesioni e/o morti sulla cui origine è auspicabile che almeno ora si faccia luce  e si dia una risposta di giustizia.

In tale quadro si inseriscono i recenti provvedimenti adottati dal GIP di Taranto che, stando a quanto sinora emerso, trovano ampio fondamento in una tale pregressa situazione di palese violazione della legge.  L’auspicio è che, pur comprensibilmente preoccupati per la sicurezza del proprio posto di lavoro, i lavoratori non si facciano ignari promotori di iniziative a tutto beneficio dei responsabili dell’Ilva. Occorre invece mantenere unito il fronte di tutti coloro che, cittadini e lavoratori, sono stati sinora duramente colpiti dai gravi e reiterati comportamenti aziendali, oggi oggetto di indagini preliminari, non facendosi ostaggio nel rapporto tra indagati ed Autorità Giudiziaria.

Ai rappresentanti degli Enti Territoriali, ai rappresentanti degli organi deputati alla vigilanza (e non certo ai lavoratori e ai cittadini) il compito di trovare soluzioni  che riescano a contemperare, ove possibile, contrastanti esigenze. Impegno doveroso, anche alla luce dei troppi anni di inspiegabili assenze.

 


Taranto: senza le associazioni avremmo continuato a mangiare e respirare diossina nel silenzio più totale e adesso si rischia che tutto torni come prima!

Maurizio Portaluri, primario radioncologo
Ass. Salute Pubblica, Brindisi

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Che a Taranto ci fosse una concentrazione pericolosa e dannosa di inquinamento ambientale di origine industriale era cosa nota da decenni anche ai profani di chimica ed epidemiologia. E non solo. Gli studi epidemiologici condotti dall'OMS e da altre istituzioni nazionali denunciavano una situazione molto critica. Per esempio era già noto dagli anni '80 che anche tra le donne la mortalità per patologie respiratorie a Taranto era superiore all'atteso. Ma come spesso accade, perché la questione assurgesse agli onori della cronaca e della verità nel modo traumatico del sequestro giudiziario, c'è voluto l'impegno scientifico di Alessandro Marescotti, fondatore un paio di decenni fa della associazione telematica per la pace Peacelink, il quale sarà pure, come precisa l'ARPA con una caduta di stile, un "insegnante di materie letterarie in un liceo tarantino", che però nel 2008 ha fatto quello che nessuna istituzione preposta alla tutela dell'ambiente e della salute aveva mai fatto: l'analisi del pecorino prodotto nei pascoli prossimi all'ILVA con evidenza di concentrazioni di diossina e PCB tre volte superiori ai limiti di legge. A seguito di questa iniziativa la ASL di Taranto ha fatto abbattere 1.300 capi di bestiame allevati a ridosso del siderurgico. A seguito della denuncia degli allevatori sono state avviate le attività giudiziarie che hanno indotto la Procura della Repubblica a disporre le indagini epidemiologiche su popolazione e lavoratori, anche queste mai effettuate fino ad allora in Puglia. Trenta morti in più all'anno attribuibili all'ILVA. Finalmente l'epidemiologia parla un linguaggio comprensibile al popolo!

Nel 2010 di nuovo Peacelink insieme ad un'altra associazione, Altamarea, evidenzia troppa diossina nelle carni di ovini e caprini. Un'ordinanza della Regione Puglia vieta il consumo di fegato di ovini e caprini cresciuti in un raggio di 20 km dall'area industriale di Taranto.

Anche il Consiglio Regionale deve rincorrere le associazioni: è della fine del 2008 la legge regionale che abbassa a 0.4 ng/Nm3 il valore di diossine, ma a marzo 2009 viene modificata: niente controlli in continuo ma solo per  tre settimane all'anno e per parte della giornata. Ma il problema purtroppo rimane tutto intero, in quanto la diossina non  fuoriesce solo dal camino E312, ma attraverso emissioni non convogliate.

Nel 2011 il Fondo Antidiossina del professor Fabio Matacchiera (un altro "insegnante"!) fa analizzare i mitili, le famose "cozze di Taranto". Emergono valori estremamente preoccupanti. La ASL di Taranto vieta il prelievo e la vendita delle cozze allevate nel primo seno del Mar Piccolo. I mitili presentano concentrazioni di diossina e PCB superiori ai limiti di legge.

Qualche giorno prima del sequestro giudiziario Marescotti divulga i dati di uno studio di ricercatori dell'ARPA che evidenzia un eccesso di piombo nelle urine dei tarantini.

Il resto è cronaca giudiziaria e sindacale. Purtroppo nessuno ha mai solidarizzato con i morti e i malati di Taranto, né con le loro famiglie e i bambini, né con i lavoratori dell'agricoltura e dell'itticoltura che  il posto di lavoro lo hanno già perso.


La parola ai lavoratori

Audio-intervista a Donato Stefanelli segretario della FIOM di Taranto tratta dal GR di Radio Popolare Network del 2 agosto 2012 ore 7.29;

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Le donne di Taranto: 'Se non moriamo di malattia, moriremo di fame'


Ambiente, salute, lavoro e responsabilità

 

Fabrizio Bianchi
Epidemiologia ambientale e registri di patologia, IFC-CNR, Pisa

A proposito del Sito di Interesse Nazionale per le bonifiche di Taranto, desidero soffermarmi su due temi di riflessione.

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Innanzitutto sul tema della responsabilità

la Direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, istituisce un quadro di responsabilità ambientale basato sul principio “chi inquina paga” per prevenire e riparare i danni ambientali. I danni ambientali contemplati nella direttiva sono quelli, diretti o indiretti, arrecati all'ambiente acquatico coperti dalla legislazione comunitaria in materia di gestione delle acque; i danni, diretti o indiretti, arrecati alle specie e agli habitat naturali protetti a livello comunitario dalla direttiva "Uccelli selvatici" e dalla direttiva "Habitat", la contaminazione, diretta o indiretta, dei terreni che crea un rischio significativo per la salute umana.

Nel caso di Taranto, la valutazione sul danno ambientale e sanitario dovrebbe distinguere adeguatamente e chiaramente le responsabilità passate da quelle presenti e in atto, per evitare attribuzioni non basate su evidenze, tentazioni di attribuire le cause solo al passato, e conseguenti assunzioni distorte di oneri, con la consueta assistenza del pubblico al privato.

Al proposito si segnala il recente DL del CdM che assegna 336 milioni euro, di cui 329 di parte pubblica e 7 di parte privata.

Sicuramente si tratta di uno stanziamento cospicuo e importante per interventi urgenti di messa in sicurezza e di risanamento, mentre per quanto riguarda le bonifiche in senso stretto, anche sulla base delle evidenze scientifiche disponibili incluse le perizie Epidemiologica e Chimica, è ragionevole pensare che occorreranno stanziamenti ben superiori. Ricordo un recente articolo pubblicato su Environmental Health, che ha stimato in circa 10 miliardi di euro gli investimenti in bonifiche con valore positivo costo-beneficio valutando gli impatti ambientali per la salute nei SIN di Priolo e Gela per i quali sono previsti meno di 1 miliardo di euro di investimenti (Guerriero et al, 2011; http://www.ehjournal.net/content/10/1/68/abstract).

Un secondo elemento riguarda il dualismo ambiente-salute e lavoro

Metto insieme ambiente e salute, sebbene il binomio sia tutt’altro che scontato, specie sul piano della dimostrazione e accettazione del nesso di causalità, richiamato in termini troppo spesso rigidi o strumentali anche/proprio in situazioni dove il corpo di evidenze è comunque sufficiente per prendere decisioni preventive, com’è nel caso di Taranto.

Il lavoro è spesso separato o posto in contraddizione, in linea con una visione antistorica che ha portato quasi sempre a perdere ambiente, salute e lavoro.

Il caso di Massa Carrara è emblematico. Le dismissioni del grosso della Zona Industriale Apuana iniziarono sotto le pressioni popolari a seguito della lunga serie di incidenti, i più rilevanti dei quali furono quello del 12 Marzo all’ANIC-Agricoltura e del 17 Luglio del 1988 alla Farmoplant (ex Montedison-Diag).

Gli oltre 1.500 lavoratori all'epoca impiegati, prevalentemente giovani, subirono un lungo periodo di cassa integrazione e successiva difficoltà al reimpiego; a distanza di oltre 20 anni le operazioni di bonifica effettuate a terra sono circa il 10% di quelle autorizzate (http://www.arpat.toscana.it/documentazione/presentazioni-convegni/prsentazione-risultati-del-progetto-sentieri/); la mortalità a lungo termine si è mantenuta elevata (+20% tra gli uomini, + 7% tra le donne; fonte Sentieri).

Si potrebbero fare tanti esempi analoghi, così come tanti sono gli esempi di debole difesa dell’ambiente e della salute e contemporanea strenua difesa dell’occupazione anche contro le decisioni della magistratura di sequestro degli impianti, come accadde ad esempio a Gela nel 2002, un altro SIN da bonificare e con notevoli criticità su ambiente e salute che attendono di essere risolte.

Taranto, per la dimensione delle contraddizioni, degli interessi, delle evidenze scientifiche, può rappresentare un’inversione di tendenza in cui si difende il lavoro mettendo la tutela dell'ambiente e della salute al primo posto.

Ulteriori riflessioni sono presenti sul sito di 'Scienza in rete' all'indirizzo:
http://www.scienzainrete.it/contenuto/articolo/gli-studi-su-taranto-dagl...

 


Conoscenze scientifiche e gestione del rischio

Giuseppe Costa,
Dipartimento di scienze cliniche e biologiche,
Università di Torino

Le perizie

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documentano che l’insediamento produttivo dell’ILVA di Taranto con le sue emissioni ha provocato dei gravi danni alla salute alla popolazione dell’area circostante in una misura stimabile.
La magistratura sulla base di queste conoscenze stabilisce le conseguenze penali di questa responsabilità dell’impresa e per interrompere il reato sospende l’attività  dell’impresa stessa.
L’impresa fa un appello per salvare il destino dell’industria (siderurgica) italiana da questi provvedimenti e contesta la validità delle osservazioni scientifiche su cui si fonda.
Le parti sociali e le comunità legate alla filiera in tutta Italia si oppongono alle misure di sospensione dell’attività per il pericolo dei contraccolpi sull’occupazione.
Dunque un caso di controversia che si gioca su almeno due piani distinti. Il primo quello della validità delle conoscenze scientifiche, il secondo quello della gestione del rischio sulla base delle conoscenze scientifiche.

La perizia epidemiologica ha risposto alle domande della magistratura inquirente con il meglio dell’apparato metodologico e dei dati che sono disponibili in Italia per valutare la specificità, la direzione e l’intensità dell’associazione tra un’esposizione ambientale a inquinanti legati ad emissioni dell’insediamento produttivo ed effetti sulla salute a breve e lungo termine e il loro impatto in termini di casi attribuibili. Gli autori della perizia sottolineano limiti e prospettive dell’indagine, ma concludono che la stima dell’impatto può essere considerata valida. La revisione scientifica dell’indagine e dei suoi risultati consentirà di approfondire gli eventuali aspetti critici come sempre accade nella revisione tra pari, una pratica  di cui la magistratura dovrebbe imparare ad adottare le regole, anche per evitare di affidare la controversia sugli aspetti di incertezza scientifica al gioco tra i periti di parte, che rispondono a mandati un po’ diversi da quelli della revisione scientifica.

L’unico punto critico della perizia che credo si dovrebbe sollevare subito, perché ha rilievo per le conseguenze sulle decisioni, è quello della mancata valutazione dell’andamento temporale di questi effetti. È noto che i procedimenti di gestione del rischio hanno portato l’impresa a fare nell’ultimo decennio degli investimenti di prevenzione e tutela che hanno prodotto alcuni risultati sulle emissioni misurate. Ora, siccome gli effetti sulla salute messi in evidenza dalla perizia hanno una breve latenza, per la prima volta sarebbe possibile stimare l’impatto sulla salute di queste misure di contenimento dell’inquinamento, se esso c’è. La cosa avrebbe un grande valore sia per la controversia scientifica, sia per le conseguenze sulle decisioni. Nel caso della controversia scientifica se l’impatto sulla salute fosse sensibile ed elastico alle misure, questo argomento arricchirebbe la forza del nesso di causalità che viene ipotizzato.

Nel caso delle conseguenze sulle decisioni l’argomento sarebbe decisivo per stabilire l’opportunità o meno di interrompere il reato con la sospensione dell’attività dell’impresa che sono incriminate. Infatti ci si troverebbe nella stessa situazione molto comune, in cui, a fronte di un palese reato come ad esempio la violazione delle norme antincendio che si verifica  in una buona parte degli stabilimenti ospedalieri delle nostre aziende sanitarie,  il reato, nonostante l’obbligatorietà e la non discrezionalità dell’azione penale, non viene sanzionato, ad esempio con la chiusura degli stabilimenti stessi,  e questo avviene sulla base di due argomenti. Il primo è quello che l’impresa, l’ASL nel nostro caso, abbia adottato un piano di correzione dell’irregolarità e ne dimostri la progressione di adozione nel tempo. Il secondo è che la chiusura dello stabilimento ospedaliero potrebbe provocare danni alla salute più frequenti e gravi di quelli prevenibili con la chiusura dello stabilimento stesso che, per definizione, eliminerebbe il rischio antincendio.
Mutatis mutandis,
la situazione in termini di gestione del rischio è molto simile a quella di Taranto. Se  si potesse dimostrare che il piano di adeguamento dell’impresa ha avuto un impatto sulla salute nel senso desiderato, ci sarebbe una prima base per derogare dall’applicazione della sospensione dell’attività vincolata ad una prosecuzione controllata del piano stesso. Se si potesse poi ancora misurare anche l’impatto sulla salute che avrebbero le ricadute sull’occupazione non solo a Taranto della chiusura dell’impianto, cosa fattibile dato che sono ben noti in letteratura gli effetti sulla salute della disoccupazione e in esercizio di health impact assessment  sarebbero stimabili i rischi attribuibili, allora si potrebbe completare il quadro delle conoscenze con il numero di casi attribuibili alle conseguenze della chiusura dell’impianto. L’unico aspetto eticamente controverso di questo secondo argomento è che i gruppi bersaglio di questi due impatti sarebbero diversi, quello ambientale riguarderebbe i residenti, quello occupazionale i lavoratori diretto e dell’indotto e le loro famiglie. 

Cosa si può imparare da questa vicenda e suggerire agli attori in gioco?

  • Dal punto di vista procedurale sarebbe utile introdurre la peer review nelle perizie.
  • Dal punto di vista dell’indagine epidemiologica sarebbe necessario un supplemento di indagine che permetta

-sia di testare la sensibilità dell’impatto sanitario all’andamento temporale delle esposizioni
-sia di stimare l’impatto sulla salute atteso a causa delle misure di chiusura delle attività incriminate.

  • Dal punto di vista della gestione tecnologica ed impiantistica del rischio sarebbe utile aprire la possibilità di negoziare la prosecuzione dell’attività sulla base di un piano di risanamento dell’impianto adeguato alla gravità dell’impatto, in modo proporzionale all’andamento dei risultati conseguiti.
  • Mentre l’azione penale dovrebbe continuare il suo corso sulla base della risoluzione delle eventuali controversie scientifiche legate ai risultati delle indagini peritali e della valutazione delle responsabilità.

 


L'epidemiologia deve entrare nella governance ambientale ordinaria

Giorgio Assennato, direttore ARPA Puglia
Lucia Bisceglia, ARES Puglia

Il diffondersi dell’uso della metodologia epidemiologica nei processi penali contro i reati ambientali è certamente “cosa buona e giusta”, e ciò è ancor più vero nei casi, come il procedimento penale contro l’ILVA di Taranto, in cui si realizzano studi epidemiologici innovativi e robusti. A un osservatore non italiano apparirà certo strana la scarsità di studi epidemiologici nella governance ambientale ordinaria. L’uso di studi epidemiologici per fini di policy ambientale è certamente più logico rispetto alla complessità del criterio di causalità richiesto in un processo penale. A parte lo studio “Moniter” condotto in Emilia Romagna per valutare l’impatto ambientale e sanitario dei termovalorizzatore, molto modesto è il ruolo dell’epidemiologia nel sistema agenziale (fondato su un hub nazionale, ISPRA, e le diverse ARPA/APPA regionali o provinciali), ovvero dell’uso di dati epidemiologici nei processi valutativi e decisionali.

Le ragioni sono molteplici: la difficoltà di allineare funzionalmente il sistema agenziale col servizio sanitario; l’approccio unicamente basato sul control & command proprio di molte ARPA che ritengono il proprio compito esaurirsi nella valutazione del rispetto dei valori soglia nelle matrici ambientali; il pesante intervento della magistratura amministrativa su tutto quanto non sia definito normativamente.

Pur prodotta in un contesto così peculiare quale quello di un procedimento penale, o forse proprio per questo, la perizia ha in qualche modo imposto a tutti i portatori di interesse la necessità di confrontarsi, anche criticamente, con dati epidemiologici prodotti con rigore metodologico per l’assunzione di risoluzioni di assoluta rilevanza, che non hanno a che fare “solo” con il futuro dello stabilimento siderurgico. La storia di Taranto ha evidenziato in modo plastico quale possa essere il ruolo dell’epidemiologia nella costruzione delle decisioni politiche, caricandola allo stesso tempo di responsabilità di cui è indispensabile acquisire piena consapevolezza.

In Puglia, è stata recentemente approvata una legge regionale che ha trovato il consenso anche del Ministero dell’Ambiente, che prevede - per le aziende sottoposte ad autorizzazione integrata ambientale e con rilevanti emissioni in atmosfera - la valutazione del danno sanitario, secondo una metodologia simile a quella utilizzata nel procedimento penale citato, ma inserita in un centro ambiente salute che garantisca, anche attraverso l’auditing esterno di un comitato di garanti di esperti a livello nazionale, risultati scientificamente affidabili.
La legge prevede, in caso di accertamento di effetti sanitari delle emissioni correnti, la formulazione di una decisione di riduzione delle emissioni proporzionale rispetto agli effetti accertati (vai al dibattito sulla legge regionale sulla valutazione del danno sanitario in Puglia).

 

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