Riassunto

Claudio Minoia e Pietro Comba affrontano l’ardua impresa di raccontare le vicende legate alla questione amianto, una delle questioni centrali della medicina del lavoro degli ultimi decenni, tanto complessa da coinvolgere aspetti scientifici, tecnici e d’igiene industriale, sociali e previdenziali, mediatici e giudiziari. Per un obiettivo tanto difficile, i curatori dell’opera hanno coinvolto oltre 100 autori esperti, coordinandone il lavoro secondo un ben orchestrato schema che nei due volumi conduce il lettore attraverso tutti i principali temi inerenti alla materia, trattandoli in modo esaustivo.

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Claudio Minoia e Pietro Comba
Amianto, un fantasma del passato o una storia infinita?
Cermenate (CO), New Press Edizioni, 2018
2 volumi, 980 pagine, 180 euro

Claudio Minoia e Pietro Comba affrontano l’ardua impresa di raccontare le vicende legate alla questione amianto, una delle questioni centrali della medicina del lavoro degli ultimi decenni, tanto complessa da coinvolgere aspetti scientifici, tecnici e d’igiene industriale, sociali e previdenziali, mediatici e giudiziari. Per un obiettivo tanto difficile, i curatori dell’opera hanno coinvolto oltre 100 autori esperti, coordinandone il lavoro secondo un ben orchestrato schema che nei due volumi conduce il lettore attraverso tutti i principali temi inerenti alla materia, trattandoli in modo esaustivo.

Il concept dell’opera

L’apertura del racconto, curata da Franco Carnevale e completata dal contributo di Daniela Marsili, è opportunamente di tipo storico e, attraverso l’andamento della produzione mondiale dell’amianto, offre già una prima risposta alla domanda che compare nel titolo dell’opera, confermando la sicura attualità del problema. Seguono numerosi contributi su esposizione ambientale e occupazionale, alcuni rivolti alle esposizioni del passato, altri a quelle attuali. Il secondo volume ospita contributi su clinica e diagnostica delle patologie da amianto, su indicatori di esposizione e di danno quali le fibre nel tessuto polmonare, i corpuscoli dell’amianto e altri marcatori biologici d’esposizione; ben in evidenza è il lavoro dei registri regionali dei mesoteliomi, mentre, verso la parte finale, sono trattati gli aspetti del danno penale e la sorveglianza sanitaria per gli ex esposti, che in Italia hanno assunto un particolare interesse attuale.
Un’opera ampia e completa, rivolta a studenti, specializzandi e cultori della materia ai quali può fornire un’utile traccia dalla quale partire per gli approfondimenti specialistici di interesse. Probabilmente per scelta editoriale, non emergono posizioni critiche, se non per brevi accenni sparsi nei vari contributi, nonostante molte questioni che riguardano l’amianto siano frequente oggetto di dibattito, come avvenuto in occasione delle presentazioni dell’opera, a Viterbo ed a Firenze, su temi quali i benefici previdenziali, la sorveglianza sanitaria degli ex esposti, la priorità nelle opere di bonifica, gli aspetti mediatici della diffusione delle conoscenze.

Un problema non solo sanitario

Il titolo dell’opera, Amianto, un fantasma del passato o una storia infinita?, sembra voler indicare in modo esplicito l’obiettivo dei curatori nel voler fornire una risposta. La domanda sembra retorica, quasi ossimorica, considerato che l’amianto, come ricorda l’origine greca del suo stesso nome, è incorruttibile, destinato a durare per sempre. La lettura dei due volumi offre spunti di risposta a domande più specifiche e opportune:

  • Che tipo di problema rappresenta oggi l’amianto per la nostra e per le altre società?
  • In quale misura (e dove) costituisce ancora un problema di salute?
  • Dove si può considerare finalmente un rischio residuo?
  • Quale livello di priorità merita rispetto ad altri problemi di sanità pubblica e di medicina del lavoro?
  • Su quali basi si dovrebbero valutare i costi e i benefici della rimozione dei manufatti che lo contengono o della loro messa in sicurezza?

Alcuni dei contributi presenti sembrano offrire prospettive di successo sul fronte della diagnosi e della terapia per un futuro forse non sufficientemente vicino. Meno convincente il fronte della prevenzione secondaria e terziaria, a proposito del quale il ritardo accumulato in Italia nella gestione dell’amianto sembra rendere gli interventi praticabili ormai fuori tempo massimo per una loro attuazione efficace.
Una grande quantità di testimonianze riportate in molte parti dell’opera, come nell’introduzione storica di Franco Carnevale e nei contributi alla ricostruzione delle pregresse esposizioni, valorizzano l’aspetto umano e sociale delle vicende legate all’amianto. L’uso di queste fonti dà rilievo – per dirla con le stesse parole di Carnevale – a «sentimenti, espressioni, immagini forti, sofferenza, tragedie senza lieto fine, disperazione, esasperazione, angoscia, rancore, livore contro il progresso, l’industria, il lavoro, rivendicazioni e ricerca di risarcimenti di ogni genere [e] alla ricerca per dare un senso al dolore e anche alla morte». In questa introduzione storica, la complessa storia dell’amianto è narrata con una obiettività che spesso la prossimità con vicende giudiziarie ha altrove penalizzato, sostenuta da documenti che testimoniano la progressione della diffusione delle conoscenze non accompagnata dal parallelo e proporzionale affermarsi della prevenzione e dell’informazione ai lavoratori. Proprio questo aspetto è ripreso nei contributi di Rosalba Altopiedi e Corrado Magnani e in quello di Agata Mazzeo, che, descrivendo il caso di Casale, mostrano come solo la consapevolezza del disastro in corso, mobilitando lavoratori e cittadini, abbia anticipato gli interventi di prevenzione. Il racconto storico termina con l’elenco degli argomenti che continuano a dividere tecnici e scienziati, non solo nelle aule giudiziarie, quasi affidandoli alla trattazione a cura degli altri autori del volume: il ruolo dell’epidemiologia nella valutazione del singolo caso, l’efficacia della dose cumulativa nel processo di cancerogenesi, la clearance delle fibre, la latenza, l’anticipazione della malattia a causa di esposizioni più recenti, le caratteristiche delle fibre in rapporto alla loro patogenicità, le fasi di sviluppo del tumore, la diagnosi differenziale e così via.

Bando all’amianto!

Daniela Marsili getta lo sguardo ben oltre i confini nazionali, seguendo la traccia dell’ancora ingente produzione di amianto, oltre due milioni di tonnellate/anno (erano circa 5 milioni negli anni Settanta), e alla sua diffusione verso Paesi ove non esiste o è molto debole una legislazione sanitaria. La recente notizia che l’amministrazione Trump avrebbe autorizzato la ripresa della commercializzazione dell’amianto negli Stati Uniti a seguito di accordi commerciali con la Russia solleva forte preoccupazione, appena stemperata dall’umoristica stampigliatura della faccia del presidente americano sui sacchi di amianto russo destinato agli Stati Uniti. Sull’altro versante, si deve fortunatamente registrare il bando della produzione dell’amianto da parte di due dei maggiori produttori mondiali, il Canada, dove è già stata interrotta, e il Brasile, che sta per farlo.
E proprio al Brasile guarda il testo di Agata Mazzeo, che descrive l’importanza, là come in Italia, delle associazioni di esposti ed ex esposti nell’elaborazione di conoscenza e nella promulgazione di norme di tutela, ma anche nel sostenere le vittime nei loro percorsi di cura, nelle rivendicazioni di giustizia sociale e nella tutela dei gruppi di esposti ancora presenti nel mondo. È a queste realtà che dobbiamo guardare come al più forte argine contro ogni tentativo di ripresa produttiva e commerciale, come quello prospettato negli Stati Uniti.

Esposizioni ambientali e occupazionali

Numerosi contributi affrontano il tema delle esposizioni ambientali e occupazionali; molti guardano al passato e sono ricchi di testimonianze dirette dei lavoratori, come il contributo di Stefano Silvestri sulla miniera di Balangero o quello di Pietro Gino Barbieri sui cantieri navali. Le testimonianze hanno la forza di rievocare l’eterno dramma consumato fra lavoro, salute e profitto. L’uso intenso e senza regole dell’amianto finisce per essere l’immagine stessa di un’epoca e dei suoi squilibri sociali, un dramma che i dati di esposizione e il numero delle malattie professionali da sole non sanno descrivere con altrettanto realismo, ma che il convivere delle testimonianze con i dati reciprocamente rafforzano.
Società italiana amianto (SIA), edilizia, siderurgia, tessile, chimico, petrolchimico, raffinerie, ferrovie, produzione di energia termoelettrica e geotermia: gran parte di queste storie di esposizione ad amianto ha preso origine da incarichi peritali in ambito giudiziario svolti da alcuni fra gli autori, prevalentemente come consulenti dei Pubblici ministeri. Merita una citazione Silvestri, da sempre impegnato nella battaglia contro l’amianto, come testimonia la sua collaborazione a gran parte dei contributi citati. Anche a lui si deve, già nel 1995 (pochi anni dopo il bando dell’amianto, avvenuto in Italia nel 1992), il volume edito dalla Regione Toscana C’era una volta… l’amianto, titolo più ottimista di quello dei due attuali volumi. Quel testo, dove compaiono le prime ricostruzioni sulla presenza ed esposizione ad amianto in diversi comparti a uso di epidemiologi e medici del lavoro, trova oggi il suo seguito ideale, perché non v’è dubbio che l’amianto c’è ancora. Il testo del 1995 è, forse, il primo tentativo di applicare metodi di stima delle esposizioni pregresse basati su informazioni dirette e/o per analogia; i contributi odierni, supportati da una ricerca quasi ossessiva delle fonti e dalla loro interpretazione, rappresentano l’evoluzione di quella tecnica di ricostruzione. La materia richiede ottime conoscenze d’igiene industriale, ma anche una particolare sensibilità nella ricerca di documenti e nella valutazione di testimonianze che possano contribuire a completare il complesso affresco di informazioni su tecnologia, sanità e aspetti sociali. Questa disciplina, al di fuori dell’ambito giudiziario, ha assunto un valore nel campo dell’epidemiologia, ma anche nella storia dell’igiene del lavoro e della sanità, e offre spunti utili a interpretare il presente e orientare la prevenzione.
Accanto alle esposizioni passate, sono trattate le sfide successive al bando dell’amianto fino a quelle attuali, legate alle operazioni di bonifica, alle esposizioni lavorative residue, come in edilizia, alle esposizioni ambientali, ai siti inquinati: i casi di Broni, Bari, Casale descrivono lo stretto rapporto fra fabbriche e città, fra lavoratori e cittadini. L’esperienza di Casale appare come uno dei più intensi esempi di reazione razionale da parte di un’intera comunità, in termini di interventi di controllo del rischio, di assistenza alle vittime e alle loro famiglie, di attenzione nei confronti dei disturbi post-traumatici da stress che questa condizione inevitabilmente porta con sé. E da Casale è già partito un appello alla casa Bianca, perché non dia seguito alla ripresa della commercializzazione dell’amianto.
L’edilizia è, probabilmente, il settore lavorativo ancora oggi a maggior rischio di esposizione; gli addetti sembrano sottovalutare il rischio legato alla frantumazione di amianto compatto in matrice cementizia, pratica ancora diffusa, indotta anche dal costo dello smaltimento di questi materiali. La tutela della salute pubblica dovrebbe, invece, spingere a incentivare e assistere la rimozione da parte di chi, mettendo in evidenza il problema, non intende ignorarlo né nasconderlo, ma affrontarlo correttamente.
Fra le esposizioni cosiddette non preventivate, la presenza di amianto in intonaci o manufatti è un evento possibile, spesso ignorato, ma la presenza dell’amianto in natura è un rischio incombente. Il caso di Biancavilla Etnea è il più eclatante, ma il problema riguarda la presenza di tremolite come possibile inquinante dei feldspati utilizzati in ceramica e del talco o di crisotilo nelle pietre verdi. Come ben descritto nei relativi capitoli, procedure di monitoraggio delle escavazioni, comprese le gallerie (indagine geologiche, analisi rocce, campioni in aria, classificazione dei minerali fibrosi eccetera) dovrebbero entrare nella prassi abituale per il controllo di un rischio che può essere presente.
L’esperienza di monitoraggio nelle operazioni di bonifica condotta dalla USL Umbria 1 rappresenta un esempio per i dipartimenti di prevenzione, spesso abituati a gestire in maniera formale l’esame di notifiche e piani di lavoro per la rimozione. Il confronto fra i dati di monitoraggio rilevati dall’organo di vigilanza con quelli prodotti dalle aziende mostra la sistematica sottostima dei dati aziendali; non si può escludere che sia da imputarsi, almeno in parte, a bias nella scelta delle aziende su cui eseguire il monitoraggio, ma mette in luce comunque una potenziale esposizione per gli addetti, soprattutto nella rimozione di friabile.

Diagnosi e monitoraggio

Molti i contributi su argomenti di diagnostica, di monitoraggio biologico delle esposizioni, di studio dei meccanismi patogenetici, aggiornati e informativi per tutti i cultori della materia. Pochi si chiedono esplicitamente come si collocano le loro considerazioni ad almeno 30 anni dalla cessazione della maggior parte delle esposizioni più rilevanti. È ciò di cui si occupa il gruppo di ricerca del Centro Scansetti di Torino (Bice Fubini e colleghi) che, nell’esporre la sua esperienza di studio sulla morfologia delle fibre, indica come obbiettivi il contributo a migliorare terapie, identificare sistemi di decontaminazione, migliorare la conoscenza sui meccanismi patogeni dei materiali fibrosi, parzialmente comuni a diversi inquinanti particellari (per esempio, formazione di radicali ossidanti, infiammazione cronica), anche in considerazione dell’ampio uso dell’amianto che si fa ancora nel mondo.
I contributi sugli indicatori molecolari per diagnosi precoce di mesotelioma, sebbene rilevino che i requisiti di sensibilità e specificità necessari per garantire una diagnosi precoce non sono ancora soddisfatti, indicano nei micro RNA, fibulina 3 e pattern di biomarcatori gli indicatori più promettenti soprattutto per la diagnosi differenziale fra patologie benigne e maligne della pleura, ma utili anche per indirizzare la terapia. Al contrario, gli argomenti attinenti alla prevenzione, specie secondaria e terziaria, evocano nel lettore sensazioni di scarsa efficacia e appiattimento su un pensiero predominante, rispondente più a esigenze mediatiche che non scientifiche. La sorveglianza sanitaria per ex esposti, evocata in relazione all’ancora elevato numero di mesoteliomi, ma mirata poi al cancro polmonare, rilancia equivoci di metodo e di merito. Il tema è accennato in diversi contributi sulle patologie da amianto ed è poi trattata da Stefano Porru e Nicolò Sfriso, che, però, non affrontano direttamente la questione dell’efficacia della sorveglianza sanitaria, mentre le aspettative di natura epidemiologica dei programmi di sorveglianza sembrano spesso contrastare con il beneficio atteso per singoli individui. Una delle maggiori criticità è l’applicazione dei programmi di sorveglianza sanitaria a settori per i quali l’esposizione è molto variabile e poco controllabile, la definizione della popolazione oggetto di sorveglianza come ad alto rischio molto controversa, il numero troppo elevato di persone che risultano esposte senza esserlo (falsi positivi), il rischio di falsi negativi non controllabile. I metodi di stima dell’esposizione pregressa applicati a casi singoli in caso di esposizioni saltuarie, sia dirette sia indirette, al di là della loro complessità, possono offrire una buona stima del rischio, ma non dell’esposizione cumulativa sofferta. Definire un’esposizione significativa ai fini della sorveglianza sanitaria è concetto ben diverso dal definire un’esposizione in qualche modo superiore a quella della popolazione generale a fini epidemiologici.
Le linee d’indirizzo per la sorveglianza sanitaria per ex esposti, prodotte in modo autonomo da diverse Regioni, propongono protocolli molto simili, ma la loro applicazione richiederebbe di definire con chiarezza, di volta in volta in funzione del tipo di esposizione pregressa (intensità, dose e latenza), quale sia l’obbiettivo da porsi, quale la patologia da rilevare. Diverso dovrà essere l’approccio diagnostico a seconda che l’esposizione giustifichi l’attesa di asbestosi, lo screening del tumore del polmone, il rilievo di placche pleuriche o la diagnosi di mesotelioma. Tutte le linee d’indirizzo, sulla scia del protocollo di Helsinki, adottano il limite dei 30 anni di latenza dalla cessazione dell’esposizione come criterio necessario per accedere alla sorveglianza sanitaria. Per le principali coorti in studio questo limite è già superato. Le grandi esposizioni sono cessate, salvo eccezioni, agli inizi degli anni Ottana (se non prima); da lì in poi è possibile stimare un rischio residuo che difficilmente permette di classificare questi lavoratori come “ad alto rischio” se non per il mesotelioma, patologia per la quale la sorveglianza sanitaria non ha al momento benefici e non giustifica lo stress che l’iscrizione a una coorte di sorvegliati speciali implica.

Amianto in tribunale

È significativo il fatto che, fra tutti i contributi, quelli sul danno penale offrano le risposte più esplicite ai quesiti iniziali proposti da Franco Carnevale al termine della sua introduzione storica, a dimostrazione – se ancora ce ne fosse bisogno – di quanto la vicenda dell’amianto sia stata segnata, nel bene e nel male, dai procedimenti giudiziari e come questi abbiano fatti propri delicatissimi quesiti scientifici sull’eziopatogenesi, in particolare del mesotelioma. Se è fuori di dubbio che tutte le vittime dell’amianto abbiano diritto a giustizia, non è altrettanto facile definire in cosa abbia consistito nel tempo la condotta colposa e chi debba essere considerato colpevole per l’uso di un materiale dapprima consigliato, in taluni casi imposto, facile da reperire in qualunque vendita al dettaglio e la cui nozione di rischio è rimasta a lungo appannaggio di pochi scienziati e dei produttori, che non ne hanno certo favorito la divulgazione. Nessuno si è mai preoccupato di separare in modo chiaro le responsabilità di idraulici ed edili da quelle delle grandi aziende che a livello nazionale hanno prodotto, utilizzato e commercializzato troppo a lungo amianto sia come materia prima sia in forma “ausiliaria”. Che le misure di prevenzione fossero disponibili fin dall’inizio lo dimostra bene Laura Mara nel suo contributo; meno lineare è capire in quali condizioni d’esposizione, in funzione delle conoscenze via via disponibili nel corso degli anni, quelle misure fossero da ritenersi indispensabili e quanto avrebbero potuto salvaguardare i lavoratori che dell’amianto facevano un uso secondario, indiretto od occasionale; un uso che sempre più appare responsabile dei casi di mesotelioma oggi registrati.

Conclusioni

Il pregio dell’opera è che permette una lettura delle vicende legate all’amianto in una prospettiva storica, che non appiattisce l’interpretazione delle colpe del passato su una visione odierna. L’esperienza italiana è offerta anche all’attenzione del lettore di altri Paesi e anzi appare quasi pensata per offrire ad altri cooperazione su questi temi. Lo ricorda bene Benedetto Terracini nella sua introduzione, citando Lorenzo Tomatis e il suo richiamo a operare affinché i Paesi più poveri attuino politiche di prevenzione primaria dei tumori, anche per la loro impossibilità a sostenere i crescenti costi delle cure.
Per quanto riguarda l’Italia, alla domanda contenuta nel titolo, credo si possa rispondere che l’amianto non è e non diventerà mai un fantasma, ma è un problema che richiederà sempre risposte e soluzioni puntuali sui problemi reali che, come ricordato da Benedetto Terracini, riguardano la bonifica, l’accesso ai protocolli terapeutici più promettenti e la richiesta di giustizia. Queste soluzioni non possono essere confuse con provvedimenti populisti che incrementano la spesa previdenziale, dirottano risorse su provvedimenti inefficaci e procurano allarmi inappropriati e difficili da contenere. L’intervento previdenziale rimane assolutamente necessario per coloro che sviluppano malattie correlate, in particolare il mesotelioma, e non solo per chi lo sviluppa per causa di lavoro, vista la diffusione dell’amianto nell’ambiente di vita.
Ma dobbiamo chiederci se abbia ancora senso un canale privilegiato per i rischi da amianto rispetto ad altre esposizioni a cancerogeni. La facilità con la quale si riesce a correlare il mesotelioma, patologia ad alta frazione eziologica, all’amianto non deve far perdere di vista i rischi e i danni derivanti dai cancerogeni tuttora attivi negli ambienti di vita e di lavoro, il cui riconoscimento in termini di causalità lavorativa è più difficile e, anche per questo, ancora irrilevante.
Comba e Minoia, curatori dell’opera, affermano che saremo a contatto con i materiali contenenti amianto per molti anni, e che l’azione di prevenzione della patologia correlata ad amianto sarà adeguatamente perseguita quando sarà completata una rete nazionale di laboratori accreditati e sarà realizzata l’integrazione fra gli operatori pubblici con competenze ambientali e sanitarie. A ben guardare, questi obiettivi sono comuni alla rete di prevenzione dei rischi in ambiente di vita e di lavoro, non solo con riferimento all’amianto; quest’ultimo potrà essere considerato un fantasma del passato quando il rischio di esposizione residua potrà essere considerato fra i rischi da affrontare alla pari di quelli correlati ad altri cancerogeni.

Fabio Capacci

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